Sappiamo quello che mangiamo?

Imparare a leggere le etichette per conoscere quello che mangiamo veramente

Sappiamo veramente cosa c’è nei cibi che mangiamo? Ci soffermiamo mai a leggere un’etichetta o la lista degli ingredienti? Quante volte ci siamo trovati a misteriosi termini come “digliceridi degli acidi grassi”, oppure frasi come “può contenere una fonte di fenilalanina”… Per non parlare delle misteriose sigle E252,  E951, ecc?

Ci sarà sicuramente capitato, ma abbiamo sorvolato il problema perché in un certo qual modo siamo abituati anche a convivere con cose che non conosciamo.

Il tempo in cui gli stati avevano istituzioni atte a salvaguardare la salute delle persone attraverso controlli e ricerche è tramontato. Sì, gli organi di controllo ci sono ancora, ma troppo spesso capita di renderci conto che i poteri delle multinazionali li influenzano così tanto da rendere dubbi certi risultati o certe rassicurazioni.

E allora che fare?

La soluzione sta nello smettere di fidarci ciecamente di ciò che ci viene detto e iniziare a conoscere, informarci, sapere. Conoscere le cose ci permette di sceglierle, ci permette di evitarle, ci permette di creare la nostra realtà su misura piuttosto che farcela creare da chi ha ben altri interessi.

Il GasBo offre questa guida pratica per orientarci nella giungla delle tante informazioni che ci sono sui cibi e sulle etichette.

Non mangiate nulla che la vostra bisnonna non riconoscerebbe come cibo…

Non mangiate nulla con più di 5 ingredienti o con ingredienti che non riconoscete o non sapete pronunciare…»

CHE DEFINIZIONE È POSSIBILE DARE ALL’ETICHETTA?

L’etichetta è la carta d’identità degli alimenti confezionati attraverso la quale il consumatore può ricavare molte informazioni utili (ad esempio, gli ingredienti, la loro tipologia e quantità, la durata del prodotto, la provenienza ecc.). Qualsiasi azienda che produce generi alimentari e li commercializza deve, per legge, obbligatoriamente apporre sulla confezione l’etichetta che deve contenere determinate informazioni. Una cosa molto importante da non dimenticare è che l’etichetta non deve avere alcun tipo di scritta o immagine che possa trarre in inganno il consumatore, così come non è possibile presentare “nomi di fantasia” che allontanano l’acquirente dal reale acquisto che sta per fare, se questi non sono seguiti dalla denominazione di vendita.

Il Ministero della Salute ha prodotto un documento su cosa dobbiamo sapere sulla etichettatura degli alimenti, scaricabile a questo link: http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_opuscoliPoster_215_allegato.pdf

PERCHÉ È UTILE LEGGERE LE ETICHETTE?

 consentono al consumatore di essere correttamente informato sul prodotto;

• permettono di scegliere il prodotto più vicino alle proprie esigenze;

• permettono di attuare una valutazione sul rapporto qualità/prezzo.

COS’È INVECE L’ETICHETTA NUTRIZIONALE?

L’etichetta nutrizionale è facoltativa; diviene obbligatoria quando un’informazione nutrizionale figura in etichetta o nella presentazione o nella pubblicità dei prodotti (ad eccezione delle campagne pubblicitarie collettive) e cioè quando è presente una descrizione o un messaggio pubblicitario che affermi o suggerisca che un alimento possiede particolari caratteristiche inerenti il valore energetico o relative ai nutrienti che esso contiene, ad esempio per biscotti poveri in grassi o in zucchero, o per cibi light in generale.

L’etichetta nutrizionale può riportare, nell’ordine: il valore energetico, le proteine, i carboidrati, i grassi;

oppure: il valore energetico, le proteine, i carboidrati, gli zuccheri, i grassi, gli acidi saturi, le fibre alimentari, il sodio.

Può inoltre riportare altri elementi, quali l’amido, gli acidi grassi monoinsaturi e polinsaturi, il colesterolo; le vitamine e i sali minerali, se presenti in quantità significativa.

Ora che abbiamo imparato a conoscere le etichette alimentari, ciò che resta da fare è interpretarle bene e non farsi ingannare dagli stratagemmi utilizzati talvolta dalle aziende per confondere le idee al consumatore.

INDICAZIONI OBBLIGATORIE

Il decreto legilaslativo n° 109 del 1992 regola le indicazioni obbligatorie che devono essere riportate sulle etichette dei prodotti. [disegno esplicativo etichetta]

Sui prodotti preconfezionati devono comparire le seguenti indicazioni obbligatorie:

1. la denominazione di vendita*:è la denominazione prevista dalle disposizioni che disciplinano il prodotto stesso ovvero il nome consacrato da usi e consuetudini ovvero una descrizione del prodotto accompagnata, se necessario, da informazioni sulla sua natura e utilizzazione, in modo da consentire all’acquirente di distinguerlo dai prodotti con i quali potrebbe essere confuso. Non può essere sostituita da marchi di fabbrica o di commercio ovvero da denominazioni di fantasia.

2. l’elenco degli ingredienti*: qualsiasi sostanza, compresi gli additivi e gli aromi, utilizzata nella fabbricazione o nella preparazione di un prodotto alimentare, ancora presente nel prodotto finito anche se in forma modificata. Gli ingredienti sono indicati in ordine di peso decrescente, cioè da quello usato in maggiore quantità a quello usato in minore quantità. Nel caso in cui un ingrediente sia evidenziato in etichetta o in pubblicità (esempio biscotti al cacao), deve essere indicato nell’elenco con la percentuale specifica; si tratta, infatti, dell’ingrediente “caratterizzante”.

3. la quantità netta o, nel caso di prodotti preconfezionati in quantità unitarie costanti, la quantità nominaleindica il peso del prodotto senza la tara, cioè tutto quello che lo contiene o è unito ad esso e con esso viene venduto. La quantità deve essere espressa in unità di volume per i prodotti liquidi ed in unità di massa per gli altri prodotti, utilizzando per i primi il litro (l o L), il centilitro (cl) o il millilitro (ml) e per gli altri il chilogrammo (kg) o il grammo (g), salvo deroghe stabilite da norme specifiche. Inoltre, per i prodotti conservati in un liquido di governo (salamoia, sciroppo, …) deve comparire in etichetta il peso del prodotto sgocciolato, oltre al peso netto.

Se un prodotto alimentare solido è immerso in un liquido di governo, deve essere indicata anche la quantità di prodotto sgocciolato; per liquido di governo si intendono quelli elencati di seguito, purché il liquido sia soltanto accessorio e non decisivo per l’acquisto:

a) acqua, soluzioni acquose di sale, salamoia

b) soluzioni acquose di acidi alimentari, aceto

c) soluzioni acquose di zuccheri, di altre sostanze o materie edulcoranti

d) succhi di frutta e di ortaggi nel caso delle conserve di frutta e di ortaggi

L’indicazione della quantità non è obbligatoria per i prodotti la cui quantità sia inferiore a 5 g o 5 mL, salvo le spezie e le piante aromatiche, per i prodotti dolciari la cui quantità non sia superiore a 30 g, per i prodotti venduti generalmente a pezzo o a collo.

4. il termine minimo di conservazione o, nel caso di prodotti molto deperibili dal punto di vista microbiologico, la data di scadenza**: il termine minimo di conservazione (t.m.c.) è la data fino alla quale il prodotto alimentare conserva le sue proprietà specifiche in adeguate condizioni di conservazione; esso va indicato con la dicitura “da consumarsi preferibilmente entro” seguita dalla data oppure dalla indicazione del punto della confezione in cui essa figura;la data di scadenza è la data entro la quale il prodotto alimentare va consumato; essa va indicata con la dicitura “da consumarsi entro” seguita dalla data oppure dalla indicazione del punto della confezione in cui essa figura e viene utilizzata per i prodotti deperibili, come ad esempio i latticini. La data può essere espressa:

a) con l’indicazione del giorno e del mese per i prodotti alimentari conservabili per meno di tre mesi

b) con l’indicazione del mese e dell’anno per i prodotti alimentari conservabili per più di tre mesi ma per meno di diciotto

c) con l’indicazione del solo anno per i prodotti alimentari conservabili per almeno diciotto mesi.

L’indicazione del t.m.c. e di qualsiasi altra data non è richiesta per:
 gli ortofrutticoli freschi (che non sono stati sbucciati, tagliati, …), i vini, le bevande con contenuto alcolico superiore al 10% in volume; i prodotti della panetteria e della pasticceria consumati entro le 24 ore; gli aceti; il sale da cucina; gli zuccheri allo stato solido; i prodotti di confetteria, le gomme da masticare, gelati monodose.

5. le modalità di conservazione e di utilizzazione qualora sia necessaria l’adozione di particolari accorgimenti in funzione della natura del prodotto*.

6. le istruzioni per l’uso ove necessario.

7. il lotto di appartenenza del prodotto: identifica i prodotti che appartengono allo stesso processo produttivo, cioè fabbricati in condizioni identiche; si intende quindi un insieme di unità di vendita di una derrata alimentare, prodotte, fabbricate o confezionate in circostanze praticamente identiche. E’ un’indicazione obbligatoria e molto importante ai fini della tracciabilità dei prodotti. Deve essere facilmente visibile e preceduto dalla lettera “L”.

8. il nome o la ragione sociale o il marchio depositato e la sede o del fabbricante o del confezionatore o di un venditore stabilito nella Comunità economica europea.

9. la sede (la località) dello stabilimento di produzione o di confezionamento.

10. il luogo di origine o di provenienza nel caso in cui l’omissione possa indurre in errore l’acquirente circa l’origine o la provenienza del prodotto.devono sempre apparire in modo chiaro e leggibile sulle etichette.

Queste 3 informazioni sono importanti perchè permettono di rintracciare la filiera e cioè di sapere quanto distante da noi è stato prodotto un alimento e poterci informare sull’affidabilità del suo produttore.

11. il titolo alcolometrico volumico effettivo per le bevande aventi un contenuto alcolico superiore a 1.2% in volume*.

* indicazioni obbligatorie anche per i prodotti sfusi

** indicazioni obbligatorie anche per i prodotti sfusi se si tratta di paste fresche

Nel caso dei prodotti venduti frazionati-sfusi o per quelli preincartati, le indicazioni obbligatorie di etichettatura devono comparire su cartelli, in appositi registri o altri sistemi, comunque ben in vista per il consumatore.

ERRORI NELLA SPESA E CONSIGLI PER EVITARLI

Ecco quali sono i principali errori in cui tutti possiamo imbatterci ogni volta che ci aggiriamo per i diversi reparti del supermercato e i consigli per non farsi ingannare:

  • Non fatevi conquistare dalle frasi strillate o dalle immagini della confezione: una perfetta tecnica di marketing portata avanti dalle aziende per accaparrarsi subito il cliente con un’immagine che rende il prodotto attraente. Pertanto, invece di farvi conquistare dalla foto leggete bene gli ingredienti contenuti nell’alimento: eviterete cosi di comprare un prodotto bello da vedere ma ricco di conservanti e coloranti.

  • Badate bene ai diversi ingredienti elencati in etichetta: può succedere ad esempio che grassi e zuccheri vengano presentati divisi in modo da sembrare inferiori come quantità. La legge non prevede che non si possano dividere le componenti degli ingredienti. Dal momento che le varie componenti vengono espresse secondo l’ordine quantitativo elencando per primo l’ingrediente presente in quantità maggiore, il consumatore potrebbe allarmarsi leggendo che il primo ingrediente di un dolce è lo zucchero o i grassi anziché la farina.Questo porta l’azienda a scomporre lo stesso ingrediente con due nomi diversi quando in realtà si tratta sempre dello stesso: troviamo così zucchero, fruttosio, sciroppo di glucosio, maltosio e cosi via.

  • I succhi di frutta sono ricchi di zuccheri: questo significa che non sono affatto una valida alternativa a un frutto o a una spremuta, compresi quelli che riportano la dicitura “100 per cento frutta”;

  • Attenzione alle tabelle nutrizionali e alla suddivisione delle calorie: in alcuni casi vengono espresse in “calorie per 100 grammi”, in altre in “calorie per porzione”;

  • Quando comprate la carne evitate i prodotti “separati meccanicamente: questa dicitura significa infatti che la carne contiene anche ossa e tutto quello che è possibile estrapolare dalle carcasse degli animali.

  • Attenzione agli alimenti integrali: anche se ricchi di fibre che non hanno calorie e ci saziano permettendoci di mantenerci in linea, a volte non sono del tutto tali. È infatti difficile trovare pasta o biscotti interamente integrali: il più delle volte si tratta di farina raffinata con l’aggiunta di crusca. Pertanto controllate bene che sull’etichetta della farina che si presume integrale ci sia effettivamente la dicitura “farina integrale” tra gli ingredienti.

Dal momento che l’indicazione degli ingredienti in ordine decrescente di peso in etichetta è un obbligo, quello che da tempo le industrie alimentari cercano di fare è mascherare gli ingredienti stessi mostrandone una immagine non allarmista.

Ecco i trucchi più comuni:

ZUCCHERO AGGIUNTO DOVE NON CE LO ASPETTIAMO

Lo zucchero rende tutti i piatti irresistibili, ecco che le industrie alimentari hanno iniziato ad inserirlo in alimenti che se preparati in casa non ci viene in mente di inserirlo:

  • maionese

  • sughi pronti

  • wurstel

ZUCCHERO IN VARIE FORME PER NON COMPARIRE IN CIMA AGLI ELENCHI

Spesso lo zucchero è il primo ingrediente di un alimento, ma alle aziende non conviene mostrarlo come tale, infatti il consumatore è sempre più attento a cosa consuma e certi alimenti inizia ad evitarli.

Il trucco quindi è quello di scomporre la quantità di zucchero presente in diversi componenti. Una marmellata potrà contenere tra gli ingredienti:

  • zucchero bianco

  • destrosio

  • glucosio

  • zucchero di canna

  • sciroppo di mais

riuscendo così a far comparire la frutta in prima posizione, quando invece non meriterebbe questo podio.

OLIO VEGETALE

La parola “vegetale” potrebbe far pensare a qualcosa di naturale o comunque di più salutare di un grasso animale come per esempio il burro, in realtà la dicitura “olio vegetale” nascondono una serie di olii che sono sì vegetali, ma poco benfici per la salute.

Da dicembre 2014 dovrebbe essere obbligatorio specificare quale tipo di olio vegetale viene usato, ma poche aziende fino ad ora si sono adeguate alla nuova normativa.

L’olio vegetale in assoluto più usato è l‘olio di palma, a volte l’olio di cocco. Entrambi gli olii hanno un alto contenuto di grassi saturi pertanto non è consigliato il loro consumo, soprattutto per chi ha problemi cardiovascolari o di colesterolo alto.

Purtroppo l’olio di palma è utilizzato dalla maggioranza delle aziende alimentari perchè offre molti vantaggi:

  • è molto economico

  • Il suo elevato contenuto di grassi saturi lo rende semi-solido a temperatura ambiente quindi molto comodo da impiegare nelle preparazioni industriali

Un altro motivo per non consumare prodotti con olio di palma e di tipo ecologico. A causa delle sempre crescente domanda, per utilizzare sempre più terrenti per piantare palme molti coltivatori non esitano a deforestare utilizzando spesso metodi drastici che comprendono incendi in grado di distruggere centinaia di ettari di foreste ogni anno, contribuendo alla scomparsa di sempre più numerose specie vegetali ed animali, che si trovano improvvisamente deprivate del proprio habitat naturale.

Entro la fine del 2014 la normativa relativa alle etichette cambierà e non sarà più possibile dichiarare la generica dicitura di olio vegetale senza specificare di che tipo.

PUBBLICIZZARE UN INGREDIENTE COME PRINCIPALE

Anche questo è un trucco che viene spesso usato dalle aziende, si pubblicizzano per esempio i grissini all’olio extravergine di oliva, quando in realtà l’olio maggiormente presente è un generico olio vegetale, mentre l’olio di oliva è in fondo alla lista degli ingredienti.

Spesso le aziende usano questo trucco per pubblicizzare ingredienti salutari in cibo che di salutare ha poco.

Questo trucco si chiama “etichetta imbottita” ed è spesso usato dai produttori di cibo di bassa qualità, quello che viene chiamato “cibo spazzatura”.

MASCHERARE INGREDIENTI DANNOSI

Un altro trucco consiste nel mascherare ingredienti dannosi dietro nomi dal suono innocente, che fanno credere al consumatore che siano sani. Il nitrito di sodio (conservante E250 che si trova nei salumi), per esempio, suona perfettamente innocente, ma è ben documentato che è un additivo cancerogeno e che non dovrebbe essere mai assunto.
Carminio suona come un innocente colorante per alimenti, ma in realtà è fatto con le carcasse frantumate di scarafaggi rossi della cocciniglia. Naturalmente, nessuno mangerebbe yogurt alle fragole se sulla etichetta ci fosse indicato “colorante rosso per alimenti a base di insetti”.
Allo stesso modo, 
estratto di lievito suona come un ingrediente salutare, ma in realtà è un trucco usato per nascondere il glutammato monosodico (MSG, un esaltatore chimico di sapore, per dare gusto ai cibi eccessivamente elaborati) senza avere l’obbligo di indicarlo nell’etichetta. Molti ingredienti contengono glutammato monosodico nascosto.

 

A BASSO CONTENUTO CALORICO, LIGHT, SENZA ZUCCHERO

Se un alimento è pubblicizzato avente poco zucchero, o totalmente assente ma è ugualmente dolce significa che sono stati utilizzati degli edulcoranti.

Attenzione agli edulcoranti tossici, anche quelli come l’aspartame, non riconosciuti come tali dall’Establishment ma della cui tossicità esistono studi ed pubblicazioni validissime.

 

FARINA INTEGRALE

Le farine integrali sono sicuramente da prediligere rispetto a quelle raffinate.

Attenzione però agli alimenti che vengono dichiarati integrali in etichetta: il più delle volte si tratta di farina raffinata con l’aggiunta di crusca.

È infatti difficile trovare pasta o biscotti interamente integrali, ai produttori costa meno aggiungere della crusca alla farina bianca che acquistare lotti di farina integrale per produrre quegli specifici prodotti. E non sono nemmeno prodotti illegali perchè la legge stabilisce che una farina può definirsi integrale quando il tasso di minerali è compreso tra 1,30 e 1,70 su cento parti di sostanza secca.

Ma un pane prodotto con vera farina integrale non è paragonabile ad un pane prodotto farina bianca con l’aggiunta di crusca, quello con vera farina integrale ha un potere nutritivo che la combinazione farina bianca + crusca non ha, perchè il processo di raffinazione del grano ha impoverito la farina di tutti i suoi preziosi minerali. Ecco perchè è bene acquistare solo prodotti veramente integrali.

Come riconoscerli?

Nel pane per esempio se la mollica ha un colore di base chiaro in cui si evidenziano tanti puntini scuri è senz’altro una falsa farina integrale, il vero pane integrale, ha un colore scuro omogeneo. Lo stesso discorso vale per la pasta anche se la disomogeneità è più difficilmente riconoscibile.

 

PESCA SOSTENIBILE

Il tonno che troviamo in scatola viene perlopiù pescato con reti a circuizione su FAD (sistemi di aggregazione per pesci) che causa non solo la cattura di esemplari giovani di tonno, aggravando la crisi delle risorse, ma di numerosi altri animali marini, tra cui specie in pericolo, come squali e tartarughe? Si stima che, per ogni nove chilogrammi di tonni catturati, si pesca un chilogrammo di altri animali “indesiderati”.

Grazie ad una campagna sulla sostenibilità della pesca del tonno condotta da Greenpeace su alcune scatolette di tonno hanno iniziato a comparire diciture come:

Pescato in modo ecosostenibile”

Certificato da Friends of the sea”

Per capire chi veramente attua una pesca del tonno in modo non distruttivo, e quindi quali marche preferire negli acquisti, fare riferimento alla classifica risultante dalla campagna di Greenpeace: http://www.greenpeace.it/tonnointrappola/

 

INQUINANTI E COADIUVANTI TECNOLOGICI

Sono coadiuvanti tecnologici i solventi per la decaffeinazione del caffè, i chiarificanti per bevande e succhi di frutta, i demetalizzanti per il vino bianco, i decoloranti per oli e grassi, gli intorbidenti per aranciata e limonata, o gli enzimi (caglio per i formaggi, lievito per il pane, fermenti per la birra, ecc.).

Ma anche metalli pesanti, bisphenol-A (rilasciato da certi contenitori di plastica), PCBs (bifenile policlorurato), perclorato, pesticidi o altre sostanze tossiche trovate nei cibi.

Quali siano queste sostanze in etichetta non c’è nessun obbligo di segnalazione.

 

FRASI INCOMPRENSIBILI NELLE ETICHETTE

La legge europea afferma che il consumatore medio deve comprendere le diciture sulla salute presenti in etichette.

Affinché vi sia la garanzia che ciò che è scritto in etichetta sia quanto di più comprensibile possa essere fatto per il consumatore le industrie alimentari devono attenersi ad alcune norme previste nell’articolo 5 del regolamento europeo (1924/2006). Il testo dice che “l’impiego di indicazioni nutrizionali e sulla salute è consentito solo se ci si può aspettare che il consumatore medio comprenda gli effetti benefici secondo la formulazione dell’indicazione”.

Un successivo regolamento (UE) n. 1169/2011 dice che le etichette alimentari devono essere precise, chiare e facilmente comprensibili, in modo da aiutare i consumatori a compiere scelte alimentari e dietetiche consapevoli.

Al fine di garantire una ulteriore tutela le scritte riguardanti la salute che i produttori vogliono inserire in etichetta devono essere approvate dall’Efsa (Autorità europea per la sicurezza alimentare).

Se esistono tutte queste forme di tutela allora perché in etichetta a volte troviamo queste frasi (i cosiddetti claim)?

La sostituzione di amidi digeribili con amido resistente in un pasto contribuisce alla riduzione dell’aumento del glucosio ematico post-prandiale”

La betaina contribuisce al normale metabolismo dell’omocisteina”

La biotina contribuisce al normale metabolismo dei macronutrienti”

Il calcio interviene nel processo di divisione e di specializzazione delle cellule”

Il folato contribuisce alla normale emopoiesi”

Il magnesio contribuisce all’equilibrio elettrolitico”

Il selenio contribuisce alla normale spermatogenesi”

Lo zinco contribuisce al normale metabolismo acido-base”

Diciamo la verità, queste frasi sono incomprensibili ai più, e fanno nascere il sospetto che vengano utilizzate più che altro come forme di marketing, per dare l’impressione che il prodotto sia particolarmente benefico per la salute, o comunque più benefico di un simile prodotto che però non riporta queste frasi.

Si tratta di sostanze senza alcun valore nutrizionale che vengono aggiunte al cibo per migliorarne le caratteristiche.

Solo pochi alimenti per legge non possono contenere additivi, sono:

acqua minerale naturale, latte fresco, yoghurt naturale, uova, miele, zucchero, pasta essiccata (escluso quella priva di glutine), riso (escluso quello a cottura rapida), caffè in polvere, noci, semi, legumi, cereali, verdure fresche, patate fresche.

Gli additivi sono i seguenti:

 

  1. Coloranti

Colorano il prodotto o la sola superficie di questo. Lo scopo principale è quello di presentare un prodotto più invitante, più bello. La maggior parte di essi è di origine sintetica.

 

  1. Conservanti

Rallentano o impediscono il deterioramento del cibo da parte di batteri, lieviti e muffe.

 

  1. Antiossidanti

Rallentano o impediscono il processo di ossidazione derivante dall’ossigeno presente nell’aria.

 

  1. Correttori di acidità

Correggono l’acidità di un cibo o una bevanda per prolungarne la conservazione o mantenere intatto il gusto.

 

  1. Addensanti, emulsionanti e stabilizzanti

Servono a migliorare la consistenza del prodotto e a tenere unite sostanze che altrimenti tenderebbero a separarsi, per esempio grassi e acqua.

 

  1. Esaltatori di sapidità

Servono per intensificare il gusto degli alimenti riuscendo a mascherare eventuali difetti e mancanze.

 

  1. Agenti di rivestimento

Sono le cere e le glasse che servono per dare un aspetto brillante al prodotto, o a formare un rivestimento protettivo.

 

  1. Edulcoranti

Servono per sostituire lo zucchero nei prodotti light o per persone che non possono assumere lo zucchero.

 

  1. Amidi modificati

Si chiamano così perché sono il risultato di trattamenti chimici eseguiti su amidi alimentari che vengono modificati per conferire loro determinate caratteristiche. Nonostante il nome sospetto sono ritenute non problematiche per l’organismo umano.

COME RICONOSCERLI

Gli additivi autorizzati dall’EFSA vengono indicati con:

  • il nome della categoria (per es.: conservante) e il nome dell’additivo (per es.: acido tartarico);

oppure

 

  • dalla lettera E (che sta per Europa) seguita dal codice numerico di 3 o 4 cifre (per es.: E334).

Uno studio condotto alcuni anni fa ha evidenziato che in Italia il consumo annuo di additivi può essere attestato sui 5 kg pro/capite.

 

Sebbene la lista degli additivi possa sembrare una noiosa lista di codici molto simili tra di loro, vi invitiamo a scaricare questa lista dal sito: http://www.laleva.cc/alimenti/Enumbers.pdf perché questa lista non fornisce solo la spiegazione dei codici, ma anche il loro grado di tossicità.

Il grado di tossicità è facilmente individuabile da una lettera posta accanto ad ogni elemento. Va da innocuo (A) a pericoloso (E) fino a proibito (F).

 

Ma servono veramente?

E soprattutto sono innocui per la nostra salute?

ADDITIVI DA EVITARE

 

E102 (tartrazina),

E104 (giallo chinolina),

E110 (giallo arancio o giallo tramonto),

E122 (azorubina),

E124 (ponceau 4R),

E129 (rosso allure Ac)

Sono coloranti che si possono trovare nelle bevande gassate. Per legge occorre riportare in etichetta la dicitura “Può influire negativamente sull’attività e sull’attenzione dei bambini”.

 

E123 (amaranto)

E’ un colorante che si può trovare in aperitivi alcolici, liquori, uova di pesce. Vietato negli USA.

 

E127 (eritrosina)

E’ il colorante che dà quel bel rosso alle caramelle, ai gelati confezionati, a ad alcuni yoghurt alla frutta.

 

E154 (bruno Fk)

Vietato negli USA.

 

E210 (acido benzoico)

E’ utilizzato come conservante in moltissime bevande ma anche nella maggior parte dei dentifrici, e visto che si trova anche in natura (mirtilli o nei formaggi) è facile superare la dose giornaliera di soli 5 mg. Per kg. corporeo).

 

E220 (diossido di zolfo o anidride solforosa)

E’ uno di quegli additivi che viene aggiunto al vino e che obbliga i produttori ad inserire in etichetta la dicitura “contiene solfiti”.

Si trova anche in frutta secca, snack, confetture, aceto balsamico, pesce surgelato.

 

E228 (potassio idrogenosolfito)

Anch’esso utilizzato come conservante per il vino, oltre che per patatine, frutta secca, conserve di verdure e altri alimenti.

 

E240 (aldeide formica)

 

E250 (sodio nitrito)

E’ molto facile superare la massima dose quotidiana consentita (Dga) se si consumano troppi insaccati.

 

E310 (propile gallato)

E311 (ottile gallato)

E312 (dodecile gallato)

È un additivo ampiamente usato nei cibi confezionati, come salatini, minestrine in busta, alcuni tipi di latte in polvere, gomme da masticare, margarine e olii per frittura.

 

E320 (butildrossianisolo o Bha)

E321 (butildrossietoluene o Bht)

Si trovano nei dadi per brodo, nelle minestre pronte, nei surgelati, nelle patatine, nella margarina, o anche nei mangimi per animali. Vengono utilizzati anche come stabilizzanti nei solventi con cui vengono veicolati gli aromi negli alimenti e nelle bevande.

L’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro da alcuni anni, ha incluso il BHA nell’elenco delle sostanze carcinogeniche. In Giappone è vietato il suo impiego. Eppure, nonostante tutto questo, è permesso.

 

E407 (carragenina)

Si trova in moltissimi prodotti come maionese, insaccati, bevande alcoliche, biscotti, dolci, gelati, gomme da masticare, ma anche alimenti per l’infanzia.

 

E621 (glutammato monosodico)

 

E951 (aspartame)

AMIDI MODIFICATI

CHE COSA SONO

 

Che cos’hanno in comune ketchup, creme per pasticceria, budini e dessert, salse, carni in scatola, formaggi fusi, snacks vari. Hanno l’amido e i suoi derivati: gli amidi modificati.

 

L’amido è un polisaccaride di riserva contenuto in molti tipi di piante come cereali e tuberi (grano, mais, patata, tapioca, ecc..).

L’amido che si ricava da queste fonti vegetali, non possiede le proprietà funzionali richieste in alcuni processi produttivi industriali. Pertanto i granuli sono sottoposti a diversi trattamenti e si ottengono gli amidi modificati.

A cosa servono i trattamenti?

A migliorare la performance dell’amido che viene modificato in modo mirato a seconda delle esigenze in modo da conferire particolari proprietà es. maggiore resistenza alla cottura, maggiore stabilità a acidi, a basse temperature.

I prodotti in cui è l’amido modificato è inserito come ingrediente, hanno una maggiore resistenza alla cottura, sono più stabili. In alcuni casi permettono di abbreviare i tempi di lavorazione.

Certo posso fare un budino anche con il semplice amido ma se l’uso dell’amido modificato permette di abbreviare i tempi di lavorazione e magari di conferire una certa palatabilità anche risparmiando sulle materie prime (es. latte, uova..ecc..), questo è un vantaggio per l’industria, voi che ne dite? Alcuni amidi modificati permettono di incorporare acqua in percentuale maggiore nei prodotti da forno e possono essere usati anche in sostituzione di una certa quantità di farina di grano.

Tra i principali amidi modificati vi sono:

– Amidi modificati chimicamente: L’amido contiene infatti gruppi idrossilici che potenzialmente possono reagire con alcuni composti chimici (acidi inorganici o organici ecc..). Con uno o più trattamenti chimici, si introducono nella molecola gruppi come acetato (acilazione), idrossipropilici (idrossipopilazione), gruppi fosforici. L’amido idrossipropilato è formato dalla reazione dell’amido con l’ossido di propilene. Ci sono anche degli amidi ottenuti mediante trattamenti con vari agenti funzionali che permettono la formazione di legami etere o estere con i gruppi idrossilici dell’amido (cross-linked starches)

– Amidi modificati con trattamenti fisici, mediante azione del calore o per azione meccanica.

– Amidi modificati con trattamento enzimaticoL’amido è sottoposto a idrolisi parziale con aumento della sua solubilità in acqua. Con questo trattamento si ottengono le maltodestrine.

Elenco  degli amidi modificati utilizzati come additivi (emulsionanti, addensanti) nell’industria alimentare:

 

E1400 Destrina bianca e gialla

E1401 Amidi trattati

E1402 Amido modificato alcalino

E1403 Amido sbiancato

E1404 Amido ossidato

E1410 Amido fosfato

E1412 Fosfato di diamido

E1413 Fosfato di diamido fosfato

E1414 Fosfato di diamido acetilato

E1420 Amido acetilato

E1421 Amido acetilato

E1422 Diamido acetilato adipato

E1423 Diamido glicerolo acetilato

E1430 Diamido glicerolo

E1440 Amido idrossipropilato

E1441 Diamido glicerolo fosfato

E1442 Diamido fosfato idrossipropilato

E1450 Ottenilsuccinato di amido e sodio

E1451 Amido acetilato ossidato

Nelle etichette dei prodotti alimentari l’amido modificato viene comunque dichiarato sotto il nome della categoria (quindi senza il codice E, né la denominazione singola).

SICUREZZA DELL’AMIDO MODIFICATO

 

L’amido modificato è considerato un prodotto assolutamente sicuro, visto che l’EFSA non ne ha stabilito una dose massima giornaliera, impone solamente di indicarne l’origine (amido modificato di mais, di patate, ecc) qualora l’amido possa contenere glutine.

Nonostante questa libertà quantitativa, l’esagerato consumo di amido di mais modificato può comunque creare qualche problema; il suo impiego, infatti, eleva il contenuto calorico dell’alimento e di fatto ne diminuisce la genuinità ed il valore nutritivo. Come la controparte naturale, infatti, contiene molte calorie, ma risulta privo di quei fattori nutrizionali – come vitamine, proteine o minerali – presenti nella materia prima che rimpiazza. Ad esempio, l’aggiunta di amido modificato allo yogurt alla frutta, permette di ridurre il residuo secco magro del latte di partenza (che avrà quindi meno proteine, vitamine e minerali e tutto ciò che non è grasso). Non a caso gli amidi modificati vengono tipicamente aggiunti agli alimenti light per mantenere le qualità organolettiche (sapore e consistenza) nonostante la riduzione dei nutrienti.

Attenzione, non tutto l’amido che ingeriamo viene assorbito durante la digestione. Questa frazione si chiama amido resistente (resistant starch ed è incluso tra le fibre vegetali.

COLORANTI

Solo pochi alimenti che per legge non devono contenere coloranti (caffè, cioccolato, torrone, aceto, succhi di frutta, vino, birra, olio, acqua, pane, pasta, riso, zucchero, miele, carne, pesce), per tutti gli altri non solo la colorazione è ammessa, ma qualsiasi azienda con esperienza di marketing sa che una aranciata colorata di arancione ha più successo commerciale di una senza, che tutto ciò che sa di menta deve avere il colore verde, viene colorato di verde perfino il dentifricio alla menta.

Il colorante aiuta fortemente la presentazione del prodotto, almeno in base alle nostre aspettative.

CHE EFFETTO HANNO I COLORANTI SULLA NOSTRA SALUTE?

Secondo uno studio condotto da ricercatori dell’università di Southampton (Gran Bretagna) e pubblicato sulla rivista Lancet, i coloranti artificiali contenuti negli alimenti possono diventare estremamente pericolosi per la salute dei bambini. I coloranti incidono sulla capacità di concentrazione e di attenzione dei bambini, la cosidetta sindrome da deficit di attenzione e iperattività o altrimento conosciuta come ADHD (Attention-Deficit/Hyperactivity Disorder).

Oramai si parla di questa sindrome dagli anni ’80 e, sebbene non ci sia ancora una ammissione totale da parte delle OMS una recentissima direttiva comunitaria impone che a partire dal 20 luglio 2010 su alcuni coloranti in etichetta compaiano indicazioni aggiuntive.

Se sono presenti i seguenti coloranti:

E102 (tartrazina),

E104 (giallo chinolina),

E110 (giallo arancio o giallo tramonto),

E122 (azorubina),

E124 (ponceau 4R),

E129 (rosso allure Ac)

in etichetta dovrà essere riportata la seguente dicitura: “Può influire negativamente sull’attività e sull’attenzione dei bambini”.

Quindi un’ammissione della tossicità di questi coloranti.

I coloranti incriminati sono presenti soprattutto nelle bibite gasate, dolciumi, caramelle, gelati e liquori.

Inoltre vi sono altri coloranti di sospetta tossicità:

 

E123 (amaranto) Vietato negli USA

E127 (eritrosina)

E154 (bruno Fk) Vietato negli USA

 

Difficile credere che questi coloranti siano da alcuni studi considerati tossici, ma non dall’EFSA?

Il 26 luglio 2007 il Regolamento europeo 884 ha vietato l’utilizzo del colorante E128 (rosso 2G) spesso usato negli hamburger perchè “può comportare un grave rischio per la salute umana”. Quanto ne possiamo avere assunto fino al 2007?

Nel giugno 2003 la Commissione europea ha dichiarato che il colorante Sudan rosso 1 “può essere considerato una sostanza cancerogena genotossica”, ne ha vietato l’utilizzo e ha ordinato la distruzione di tutti i prodotti che la contenevano. Fino ad allora chi può escludere di non averlo assunto in qualche sugo all’arrabbiata, o ketchup, o altro?

Inoltre c’è uniformità di veduta tra i Paesi. Per esempio il colorante E103 in Italia fu proibito nel 1977 mentre gli USA hanno dovuto attendere il 1988 per il suo divieto.

CONSERVANTI

I conservanti sono utilizzati per migliorare la conservazione degli alimentiimpedendone o rallentandone il deterioramento, ed aumentando di riflesso i tempi di shelf-life. Il deterioramento può essere causato da fattori chimici, fisici e/o microbiologici.
Non tutte le alterazioni causate da microrganismi (batteri, funghi o lieviti, muffe…) sono da considerarsi dannose, perché esistono dei processi, innescati da alcuni microrganismi, utili per conferire una determinata fragranza o un determinato sapore al prodotto (come per esempio le fasi di maturazione del vino e/o dei formaggi).

I conservanti proteggono l’alimento principalmente dall’azione di batteri, funghi e muffe.

Contro ogni tipo di microrganismo esiste un conservante specifico che ha lo scopo di proteggere l’alimento. È proprio per questo motivo che spesso nei prodotti alimentari si impiegano simultaneamente più conservanti.
Quando ad un alimento si aggiungono contemporaneamente più conservanti, il dosaggio massimo degli stessi diminuisce in base al numero dei conservanti impiegati, cioè: quando si utilizzano due conservanti insieme, il dosaggio massimo consentito negli alimenti si dimezza per ciascuna sostanza; se invece se e ne utilizzato tre, il valore viene frazionato in tre.

 

Appartengono alla categoria dei conservanti:

  • gli antimicrobici: servono per limitare ed ostacolare lo sviluppo della flora batterica, che si formerebbe nell’alimento provocando alterazioni del prodotto;
  • sostanze che sono destinati ad altri usi, ma che presentano comunque un’azione conservante;
  • gli antiossidanti: sono sostanze che prolungano il periodo di conservazione dell’alimento impedendone il deterioramento causato dai processi ossidativi (come per esempio l’irrancidimento dei grassi o cambiamenti di colore). Gli antiossidanti vengono inseriti nella categoria dei conservanti perché ostacolano l’azione dell’ossigeno a contatto con il prodotto; insieme ai regolatori di acidità sono rappresentati in etichetta con la dicitura “E” seguita da un numero che va da 300 a 399.

I conservanti devono essere riportati in etichetta come qualsiasi altro additivo (solitamente sono riportati in fondo alle etichette per via della loro ridotta percentuale di concentrazione); quelli propriamente detti, vengono contrassegnati dalla lettera E seguita da 3 cifre comprese fra 200 e 299, oppure direttamente con il nome stesso del conservante.
All’interno di questa numerazione, i conservanti vengono suddivisi ulteriormente in 9 macrogruppi riportati qui di seguito:

 

  • SORBATI, da E200-209
  • BENZOATI, da E210-219
  • SOLFURI, da E220-229
  • FENOLI E FORMIATI, da E230-239
  • NITRATI
  • ACETATI
  • LATTATI
  • PROPIONATI
  • ALTRI

 

 

CONSERVANTI INNOCUI

 Sono:

sorbati (E 200, E202, E203),

l’acido acetico e i suoi sali di potassio (E260, E261, E262, E263),

l’acido lattico e i suoi sali di sodio (E270, E325, E326, E327),

l’acido propionico e i suoi sali (E280, E281, E282, E283),

l’anidride carbonica (E 290).

 

 

CONSERVANTI NOCIVI

Acido benzoico e suoi sali (E210, E211, E212, E213): sono usati da soli o insieme all’acido sorbico e ai PHB. Non sono ammessi in alcuni paesi per la loro potenziale tossicità, inoltre gli alimenti ai quali vengono aggiunti sono soprattutto le confetture, le

Anche gli esteri dell’acido p-Idrossibenzoico (E214, E215, E216, E217, E218, E219), indicati con la siglia PHB, sono vietati in alcuni paesi. Vengono addizionati ai patè, ai rivestimenti di gelatina dei prodotti a base di carne, alla frutta in guscio ricoperta.

I derivati dell’anidride solforosa (E220, E221, E222, E223, E224, E226, E227, E228) sono irritanti e hanno una tossicità acuta e cronica, per esempio interagiscono con gli enzimi cellulari e distruggono alcune vitamine (per esempio la tiamina). Vengono usati nel vino, nella birra (anche per questo bisogna moderarne il consumo, non solo per l’alcol) e in altre bevande come i succhi di frutta, nella senape e in altri condimenti.

derivati fenolici e il tiabendazolo (E230, E231, E232 , E233) sono dotati di una certa tossicità, infatti sono proibiti in Australia. Vengono utilizzati per il trattamento superficiale degli agrumi e delle banane (per questo bisognerebbe usare solo la scorza delle arance non trattate).

La netamicina (E235), un antibiotico utilizzato sulla superficie dei formaggi, (soprattutto dei provoloni) provoca problemi intestinali.

 

nitriti (E249 ed E250) sono utilizzati nei salumi e nelle carni conservate per solo come conservanti, anche per garantire una buona presentazione delle carni mantenedone il colore rosso e l’aroma.

 

SOLFITI

 

L’anidride solforosa (E220) e i solfiti (E221 – E228) trovano impiego nell’industria alimentare come conservanti antimicrobici, antienzimatici, ed antiossidanti.

Come tali vengono utilizzati per inattivare muffe, lieviti e batteri, nonché per preservare il colore dei cibi e proteggerli dall’imbrunimento.

 

A seconda della concentrazione, l’anidride solforosa ed i solfiti possono esibire proprietà batteriostatiche (impediscono la crescita dei microrganismi) o battericide (ne provocano la morte).

L’anidride solforosa è un gas e può essere utilizzata come tale o in forma liquida, mentre i solfiti si presentano come polveri stabili, fortemente reattive in ambiente acquoso.

Nel linguaggio comune, all’interno del termine solfiti vengono raggruppati l’anidride solforosa ed alcuni suoi sali inorganici (solfiti, bisolfiti e metabisolfiti) impiegati come additivi per la preparazione e la conservazione degli alimenti:

 

E220 (anidride solforosa);

E221 (solfito di sodio);

E222 (bisolfito di sodio);

E223 (metabisolfito di sodio);

E224 (metabisolfito di potassio);

E225 (solfito di potassio);

E226 (solfito di calcio);

E227 (bisolfito di calcio);

E228 (potassio solfito acido).

 

                                        

Gli alimenti che contengono questo additivo sono molteplici, ne riportiamo una breve lista:

vino

-birra (meno frequente) alcolica e non alcolica

-alcuni cereali che contengono aggiunte di amidi particolari

-prodotti di salumeria

-succhi di frutta

-frutta disidratata

-frutta secca

-marmellate

-insalate e macedonie in ristoranti e alberghi (in alcuni casi vengono usati degli spray per evitare che imbruniscano, mantenendo cosi un aspetto “fresco”)

 

La soglia massima di assunzione giornaliera è posta tra 0 e 0,7mg per kg di peso ideale, che può essere tranquillamente superata a causa dell’ubiquità di tale additivo, soprattutto nei forti consumatori di frutta secca e vino. Negli adulti la maggior fonte di solfiti è rappresentata proprio dai vini.

Tenete presente ad esempio che un uomo di 70 kg può al massimo assumere 50 mg di solfiti al giorno ed un vino in media ne contiene 150mg/l, quindi con 330ml raggiunge la dose massima consentita al giorno, senza tener presente che i solfiti si trovano in moltissimi altri cibi che quotidianamente si consumano.

 

QUALI EFFETTI HA L’ANIDRIDE SOLFOROSA SULLA SALUTE?

 

L’anidride solforosa provoca vari disturbi, infatti influenza negativamente l’assorbimento della vitamina B1, provocando irritazioni gastriche e il famoso cerchio alla testa.

In particolare i solfiti sono molecole che creano reazioni non allergiche ma reazioni di sensibilità. In particolare può causare disturbi respiratori in soggetti asmatici pochi minuti dopo l’ingestione di alimenti che contengono solfiti (Halpern GM et al, 1985 Annals of allergy).

 

Altri lavori hanno confermato gli effetti avversi che i solfiti procurano al corpo (es. H. Vally et al; Clinical effects of sulphite additives, Clinical & Experimental Allergy, 2009). Resta solo che chiedersi se siano veramente necessari e se l’industria alimentare non debba rivedere le proprie posizioni su questo additivo.

 

Inoltre l’anidride solforosa può apportare anche questi effetti indesiderati:

-Anormale apporto di ossigeno al sangue con conseguente cefalea

-inibizione della secrezione della pepsina (enzima proteolitico dello stomaco)

-irritazione della mucosa gastrica con conseguente nausea e vomito

Quindi impariamo per prima cosa a bere sano e naturale con i vini senza solfiti, e inoltre impariamo a leggere le etichette dei prodotti quando andiamo a fare la spesa. I solfiti sono additivi e come tali la loro aggiunta va segnalata sotto forma di sigla (E che indica la sigla dei conservanti).

Inoltre tutti i vini alla quale sono stati aggiunti i solfiti riportano la scrittura “Solfiti Aggiunti”.

 

 

NITRITI E NITRATI

nitriti (E249 ed E250) e i nitrati (E251 ed E252) vengono aggiunti come additivi a insaccati, prosciutti, wurstel, carni in scatola e altri prodotti a base di carne, pesci marinati e a volte anche in prodotti caseari.

I nitriti e i nitrati vengono utilizzati per i seguenti motivi:

  • mantengono il colore rosso della carne;
  • favoriscono lo sviluppo dell’aroma agendo selettivamente nei confronti dei microorganismi che determinano la stagionatura dei salumi;
  • svolgono azione antimicrobica e antisettica, soprattutto nei confronti del botulino.

I nitriti e i nitrati non vengono usati come semplici conservanti, per il cui scopo il dosaggio sarebbe molto inferiore a quelli utilizzati, ma soprattutto come coadiuvante tecnologico per alterare artificialmente la qualità dei prodotti (soprattutto il colore delle carni). Paradossalmente, il consumatore vuole acquistare salumi cotti di colore rosa, il colore della carne cotta addizionata con nitriti. Qualunque produttore che non usasse nitriti dovrebbe proporre insaccati cotti di colore grigio, il colore naturale della carne cotta, andando fuori mercato!

nitriti in ambiente acido (soprattutto nello stomaco) si trasformano in acido nitroso il quale legandosi alle ammine da origine alle nitrosammine, composti dimostratesi cancerogeni.

Secondo diversi studi il consumo di insaccati con conservanti è una della cause accertate di cancro allo stomaco. Infatti nello stomaco si trova un ambiente acido molto favorevole alla formazione di nitrosammine.

nitrati di per sè sono innocui, ma tendono a trasformarsi in nitriti dalla flora batterica della saliva, per poi ritornare nello stomaco.

Gli alimenti che contengono più nitriti e nitrati in assoluto sono le bietole e il sedano, seguiti dalle rape e dagli spinaci.

Il contenuto in nitrati è elevato (fino a 2700 mg per kg di prodotto), mentre il contenuto di nitriti è abbastanza basso (6 mg per kg per le bietole, 2,7 per gli spinaci, meno di 1 mg per kg per gli altri vegetali). Da notare che gli alimenti contenenti molti nitrati contengono anche molta vitamina C, che scongiura il pericolo che essi vengano trasformati in nitrosammine. Come spesso accade, la natura neutralizza da sola le sostanze potenzialmente pericolose.

La legge consente l’aggiunta negli alimenti di un quantitativo massimo di nitriti pari a 150 mg per kg di prodotto, 25 volte quella massima presente nei vegetali.

Mangiare 1 kg di salume conservato con nitrati e vitamina C equivale a mangiare 100 g di bietole, dal punto di vista dell’ingestione di nitrati: dunque non ha senso demonizzare i salumi conservati con tale metodo.

I salumi conservati con nitriti, invece, andrebbero evitati. Conoscendo le quantità utilizzate si potrebbe discriminare tra salume e salume, in base al contenuto effettivo di nitriti, ma purtroppo attualmente nessuno lo fa.

 

POLIFOSFATI E450

 

Si trovano principalmente negli insaccati cotti, il prosciutto cotto, la spalla cotta e nei formaggi fusi, per renderli più morbidi e succosi.
Possono dare problemi digestivi e poiché forniscono all’organismo dosi massicce di fosforo, per poter essere eliminato, questo minerale è legato agli atomi di calcio e poi eliminato insieme. In pratica, un eccesso di fosforo si traduce in una perdita di calcio, a danno di ossa e denti.
Sarebbe bene evitarli, soprattutto nell’alimentazione dei bambini; proprio per questi aspetti le nuove norme sul prosciutto cotto vietano l’uso di questi additivi nei prosciutti cotti di alta qualità.

EDULCORANTI

 

 

Sebbene si pensi che gli edulcoranti (spesso chiamati dolcificanti) vengano usati dai diabetici per dolcificare i cibi senza che il corpo debba produrre insulina, spesso è la grande industria a farne sempre più uso perchè la produzione dello zucchero comune costa, e mangiarlo fa ingrassare.

Eccoli:

E420 Sorbitolo

E421 Mannitolo

E950 Acesulfame-k

E951 Aspartame (contiene fenilalanina, più volte dichiarato cancerogeno)

E952 Ciclamato (contiene fenilalanina, è stato vietato negli USA nel 1969)

E953 Isomalto

E954 Saccarina (scoperta nel 1879, è stata vietata a più riprese perchè si erano riscontrati tumori alla vescica nei ratti; nel 2000 la FDA l’ha nuovamente e definitivamente autorizzata, ma è tutt’ora vietata in molti paesi del mondo)

E955 Sucralosio

E957 Taumatina (si ricava dai frutti di un arbusto africano, dolcifica 2000 volte più dello zucchero comune e non sembra avere effetti collaterali)

E959 Neoesperidina

E965 Maltitolo

E966 Lattitolo

E967 Xilitolo

 

Di tutte le sostanze che fanno parte di questa lista l’Aspartame è sicuramente quella più nota, arrivata alla ribalta per uno studio effettuato dalla Fondazione Ramazzini di Bologna nel 2005 che ne dichiarava la cancerogenità.

L’aspartame, o E951, è un edulcorante artificiale la cui proprietà dolcificante è duecento volte superiore rispetto a quella dello zucchero.

E’ presente in oltre 6000 prodotti alimentari, è utilizzato in tutto il mondo da circa 200 milioni di persone che lo ingeriscono sotto forma di sostituiti dello zucchero, di cereali per la colazione, di gomme da masticare, di becande analcoliche (come la Coca-Cola light o altre bevande indicate come “senza zucchero”) yoghurt, dolci industriali, vitamine e altri 300 farmaci.

L’aspartame è la combinazione di due aminoacidi (acido aspartico e fenilalanina) il nome chimico è il seguente: acido(3s)-3-amino-N(alfa s)-alfa-metossicarbonil-fenilsuccinamico. L’aspartame, essendo una proteina, fornisce un modesto apporto calorico (4 Kcal/g), che è praticamente trascurabile visto il suo alto potere dolcificante.

E’ stato definito uno degli additivi alimentari più controversi nella storia perchè è stato più volte dichiarato cancerogeno, non ultimo uno studio effettuato dalla fondazione Ramazzini di Bologna che nel 2005 ha pubblicato uno studio in cui dimostrava che l’aspartame è un agente cancerogeno in grado di indurre tumori maligni nei ratti, anche a dosi ammesse per l’alimentazione umana.

L’EFSA in risposta a questo studio ha dichiarato che lo studio non dimostra con sicurezza la relazione fra l’insorgenza di tumori e il consumo di aspartame.

Un nuovo e più dettagliato studio sugli effetti a lungo termine del consumo di Aspartame in dosaggi compatibili con la dose minima giornaliera permessa per il consumo umano è stato pubblicato nel settembre 2007 su Environmental Health Perspectives, realizzato anch’esso dall’Istituto “Ramazzini” di Bologna. In tale studio, l’unico che abbia preso in considerazione l’uso di aspartame fin dai primi cicli di vita e abbia seguito la storia clinica dei topi fino al loro decesso naturale, sono stati rilevati dagli autori evidenti indicatori di rischio per la salute umana, in particolare per i bambini. L’agenzia europea EFSA e la corrispondente agenzia statunitense FDA non hanno al momento presentato un parere ufficiale sui risultati di questo secondo studio.

Questo è un lampante caso di come il profitto vada a scapito della salute umana.

ESALTATORI DI SAPIDITÀ

 

STORIA

 

Nel 1908 Kikunae Ikea, professore di chimica dell’Università di Tokio, estrasse dal Kombu – un’alga marina – una sostanza che fu poi chiamata umami, da noi classificata come acido glutammico.

La forma salina di questo acido glutammico è il glutammato monosodico.

Ben presto si scoprì che questo glutammato aveva la proprietà di conferire sapore anche agli alimenti che di sapore ne avevano poco.

Il gusto che forniva era  nuovo, non poteva essere classificato in nessuna delle quattro categorie convenzionali (dolce, amaro, salato, aspro), ognuna delle quali ha una precisa spiegazione chimico-fisica di quello che accade a livello delle papille gustative.

Il professor Ikeda aveva scoperto un nuovo gusto, il gusto “saporito”.

 

Oggi il glutammato non viene più estratto dalle alghe (costerebbe troppo), ma viene ottenuto con un procedimento industriale di fermentazione batterica che ha costi molto contenuti e che permette la produzione di circa due milioni di tonnellate di glutammato l’anno.

Le industrie alimentari fanno largo uso del glutammato perchè ha una caratteristica irrinunciabile: possiede la subdola proprietà di eccitare le papille gustative e di far aumentare sempre più la voglia di mangiare quel determinato prodotto (vi è mai capitato di avere un desiderio irrefrenabile di finire all’istante un pacchetto di patatine?).

 

Gli esaltatori di sapidità sono così classificati:

 

E620 – Acido glutammico

E621 – Glutammato monosodico

E622 – Glutammato monopotassico

E623 – Diglutammato di calcio

E624 – Glutammato monoammonico

E625 – Di-l-glutammato di magnesio

 

TOSSICI O INNOCUI?

Gli esaltatori di sapidità sono spesso considerati pericolosi, in grado di causare la cosiddetta “sindrome da ristorante cinese”, proprio per la consuetudine di questi ristoranti di fare ampio uso di questa sostanza.

I sintomi sono: sonnolenza, mal di testa, irrigidimento della nuca, debolezza, difficoltà respiratorie, ansia, palpitazioni.

Per alcuni esperti si ritiene che questi sintomi vengano accusati solo da chi ha una intolleranza al glutammato.

 

Vi sono invece altri esperti che hanno accusato il glutammato di provocare malattie neurodegenerative cerebrali e ipotalamiche, danni alla retina, forme atipiche di glaucoma, disturbi del comportamento, epilessia, infertilità e altre patologie ancora.

Uno di questi è Russel Blaylock, eminente neurochirurgo e nutrizionista, e oggi ricercatore a tempo pieno in tema di nutrizione. Nel 2009 pubblicò un libro sui pericoli delle cosiddette eccitotossine, sostanze contenute anche nel glutammato (Excitotoxins: the taste that kills (Eccitotossine: il gusto che uccide)).

L’ecitossina è un termine coniato da John Olney, un ricercatore americano, per indicare la capacità di alcuni aminoacidi, come l’acido glutammico e l’acido aspartico (un componente dell’aspartame), di eccitare o iperattivare alcuni recettori neuronali, al punto da causare la morte dei neuroni quando sono in eccesso.

Ecco quindi il verificarsi di malattie neurologiche come l’epilessia oppure a incidenti cardiovascolari, o a malattie neurodegenerative come il morbo di Alzheimer, la sclerosi multipla o il morbo di Parkinson.

Il fenomeno della ecitossicità fu scoperto per caso nel 1957 quando due oftalmologi britannici (D.R. Lucas e J.P. Newhouse) si resero conto che il glutammato di sodio, dato come cibo ad alcuni cuccioli di topo, distruggeva i neuroni della retina.

Quasi un decennio più tardi John Olney ha esteso questa scoperta dimostrando che le aree in cui avveniva una morte neuronale a causa del glutammato si estendevano alla totalità dell’encefalo.

(fonte: “Il veleno nel piatto”)

 

I sostenitori dell’innocuità del glutammato si avvalgono del fatto che il glutammato è naturalmente presente nel parmigiano, nella salsa di soia e perfino nei pomodori maturi.

E fin qui il glutammato appare come una sostanza naturale del tutto legittima…

In realtà il dott. Russel Blaylock ci spiega che c’è una grossa differenza tra il glutammato contenuto naturalmente negli alimenti e quello aggiunto dal’industria alimentare.

L’acido glutammico è uno dei più comuni neurotrasmettitori del cervello e un sistema di controllo mantiene il suo livello al di sotto di una certa soglia.

Il Glutammato naturalmente contenuto negli alimenti è legato agli amminoacidi presenti nell’alimento e forma quindi un unico gruppo proteico complesso, il quale viene assorbito lungo il tratto gastro-intestinale molto lentamente per poi essere scomposto a piccole dosi nel fegato, piccole dosi che l’organismo è perfettamente in grado di gestire.

Il Glutammato aggiunto dalle industrie alimentari, è inserito negli alimenti come amminoacido libero, questo comporta che nel momento in cui arriva nel tratto gastro intestinale viene assorbito così come è, già scomposto, e questo provoca innalzamenti anche di 20 volte del livello normale di glutammato nel sangue! La barriera emato-encefalica (che protegge il cervello) non è fatta per gestire concentrazioni così alte di glutammato, per il semplice motivo che in natura non esistono.

Un altro importante approfondimento sul glutammato è stato fatto dalla trasmissione Rai Report: http://www.report.rai.it/dl/Report/puntata/ContentItem-712460b6-f9fa-4499-a545-a0344610f82e.html?refresh_ce

 

 

DOVE SI TROVA IL GLUTAMMATO E COME RICONOSCERLO

Il prodotto principe dove trovare il glutammato è il dado da brodo, ma l’industria alimentare lo sta usando sempre di più per cui ora è presente nella maggioranza dei

prodotti trasformati.

 

Lo si può trovare in patatine, minestre in busta, cibi surgelati, piatti pronti, caramelle, creme da spalmare, prodotti “dietetici” e tanti altri cibi di cui è IMPOSSIBILE fare un elenco completo.

 

 

Additivi che contengono sempre Glutammato:

E621

Glutammato monosodico

Acido glutammico

Glutammato monopotassico

Estratto di lievito

Lievito aggiunto

Proteine idrolizzate;

Piante proteiche idrolizzate;

Estratti di piante proteiche;

Proteine strutturate;

Oli e grassi vegetali idrogenati;

Proteine idrogenate;

Autolizzato;

Caseinati di sodio e di calcio;

Avena idrolizzata

 

Da evitare anche tutti i parenti stretti del glutammato monosodico:

Glutammico (E620)

Glutammato monopotassico (E622)

Diglutammato di calcio (E623)

Glutammato d’ammonio (E624)

Diglutammato di magnesio (E625)

 

Alimenti che contengono spesso Glutammato: Estratto di Malto; Condimento al malto; Brodo; Condimenti; Condimenti naturali; Spezie.

Alimenti che non contengono Glutammato: Enzimi; Proteina concentrata di soja;

(fonte: http://www.disinformazione.it/glutammato_aspartame.htm)

Concludendo se sempre più ricercatori dichiarano la tossicità del glutammato, e visto che il gluatammato non è un alimento necessario … perchè mangiarlo?

GLI ALIMENTI TRASFORMATI

Per definire un alimento trasformato e meglio partire dalla definizione che la normativa vigente dà agli alimenti non trasformati.

Gli alimenti non trasformati sono tutti quei generi alimentari che sono costituiti da non più di un ingrediente e che, inoltre, non hanno subìto una trasformazione significativa prima di essere stati posti in vendita.  Rientrano tra le trasformazioni non significative:

sezionare, dividere, affettare, tritare, scuoiare, frantumare, tagliare, pulire, rifilare, decorticare, macinare, refrigerare, congelare, surgelare o scongelare.

Se un alimento ha subito una trasformazione che diversa da quanto elencato sopra allora lo si può considerare un alimento trasformato.

CONSERVE DI POMODORO

Per conserve di pomodoro si intendono i pelati, le passate, i pomodoro in pezzi.
Le lattine o le bottiglie contenenti conserve di pomodoro, non sono altro che pomodori sbucciati e trattati termicamente (“scaldati”, insomma). Tutti questi prodotti devono essere realizzati con pomodori freschi maturi e ne deve essere indicata la zona effettiva di coltivazione (la regione o perlomeno lo Stato).

Sui barattoli di conserva deve essere indicato il numero di lotto che serve ad identificare la data in cui il prodotto è stato confezionato.

Il numero di lotto è così composto: lettera L che sta per Lotto, una lettera che indica l’anno, un numero di 3 cifre che indica il giorno e il mese.

Un discorso diverso viene fatto per il concentrato di pomodoro che è fatto con gli scarti dei pomodori freschi utilizzati per gli altri prodotti, cioè quelli acerbi e probabilmente anche quelli marci.

Quindi il consiglio è quello di preferire i pelati o i pomodori a pezzi che danno una garanzia visiva del prodotto. Meglio se biologici, per non mangiare residui di pesticidi che nei pomodori sono spesso presenti.

FORMAGGI FUSI

I formaggi fusi, come “sottilette” e formaggini, tanto reclamizzati nel corso degli ultimi decenni come prodotti particolarmente adatti al consumo da parte dei bambini, rappresentano davvero degli alimenti sicuri?

Quanto ne sappiamo della provenienza degli ingredienti utilizzati in questi prodotti e dei processi di lavorazione utilizzati?

Sono oramai tanti coloro che stanno manifestando dubbi al riguardo. Vediamo perchè.

 

“FALSI CIBI” E PUBBLICITÀ INGANNEVOLE

Il termine “Sottilette” non rappresenta altro che un marchio commerciale ideato da parte di Kraft ed utilizzato per indicare un “formaggio fuso a fette” in qualità di prodotto confezionato da porre in vendita attraverso la grande distribuzione.

Kraft, nel 1987, era stata accusata di pubblicità ingannevole negli Stati Uniti, in merito al contenuto di calcio e di “vero” latte presente nel prodotto in questione, in vendita Oltreoceano con il nome di “Singles”. E’ possibile consultare in proposito il documento “FTC charges Kraft inc. misrepresented calcium content of its individual cheese slices”.

RISCHI PER LA SALUTE

I rischi per la salute legati al consumo di sottilette sono stati posti in luce di recente da parte di un articolo comparso sulla rivista rumena Evz, ripreso in Italia dal settimanale online Quale Formaggio. La fonte estera ha sottolineato come per i formaggi fusi (ad esempio, le sottilette o i formaggini) sia spesso presente una composizione di scarsa qualità, che può comportare la presenza di elementi in grado di portare ad impedire la fissazione del calcio nelle ossa.

Alcuni conservanti impiegati nella produzione dei formaggi fusi sarebbero legati al rischio di cancro.

L’eccesso di sale presente in alcuni prodotti potrebbe essere esso stesso legato all’insorgere di alcuni tipi di tumore ed al rischio di incorrere in patologie cardiovascolari.

ADDITIVI NEI FORMAGGI FUSI

Secondo uno studio condotto di recente da parte della rumena Anpcpss (Associazione nazionale per la protezione dei consumatori e la promozione di programmi e strategie) i formaggi fusi possono contenere fino a 13 additivi diversi. E’ dunque raccomandabile controllare con attenzione le etichette per verificare la presenza o l’assenza di alcuni additivi utilizzati come stabilizzanti (E450), antiossidanti (E361) e conservanti (E250).

Il conservante E250, in particolare, come riportato da parte della rivista Evz, può compromettere il sistema immunitario dei bambini, distruggendo la flora batterica ed esponendoli ad un alto rischio di infezioni. L’assunzione di nitriti attraverso il consumo di formaggi fusi che li contengano può portare alla formazione nell’organismo di sostanze promotrici dei tumori.

METODI DI LAVORAZIONE

I formaggi fusi possono essere ottenuti mediante il riciclo di scarti provenienti da altri formaggi, che possono subire prolungati processi di trasformazione mediante l’utilizzo di sali di fusione, dando origine ad un prodotto contenente composti come fosfato, citrato e sodio, in quantità più o meno elevate a seconda dei prodotti.

Noi consumatori non siamo a conoscenza della provenienza delle tipologie di scarti eventualmente impiegati da parte delle aziende produttrici per ottenere formaggi fusi come formaggini e sottilette, mentre appaiono di norma ben chiare le tabelle riportanti i valori nutrizionali presenti sulle confezioni degli alimenti. Riguardo gli ingredienti di partenza destinati alla fusione per la realizzazione di formaggini e sottilette sarebbe dunque necessaria una maggiore chiarezza.

ECCESSO DI SALE

La concentrazione di sale può raggiungere i 3 grammi ogni 100 grammi di prodotto per quanto riguarda i formaggi fusi e dovrebbe essere presa in considerazione soprattutto da parte dei soggetti ipertesi ed in caso di somministrazione di formaggi fusi ai bambini.

Secondo le più recenti linee guida dell’OMS, gli adulti non dovrebbero consumare più di 5 grammi di sale al giorno. Le linee guida, secondo quanto comunicato da parte dell’OMS, devono essere rispettate anche nel caso dei bambini, sulla base di peso, altezza ed energia consumata, in quanto un bambino con la pressione alta sarà molto probabilmente un adulto con il medesimo problema.

PESCE

Quando acquistiamo del pesce fresco pensiamo che l’unico ingrediente che compone il prodotto sia solo il pesce, invece può darsi che al nostro pesce siano stati aggiunti degli additivi e nonostante ciò lo dobbiamo continuare a chiamare pesce fresco.

Infatti la legge autorizza l’uso di additivi nel pesce fresco, congelato e surgelato e nei filetti non lavorati (congelati o surgelati).

Ma la legge non permette l’uso ingannevole di queste sostante, eppure spesso questi additivi vengono usati per:

  • mascherare i processi di lavorazione,

  • per migliorare l’aspetto,

  • oppure per aumentare in modo artificioso il peso.

Gli esempi non mancano, basta citare:

il monossido di carbonio usato per migliorare il colore del tonno,

e i polifosfati aggiunti per incrementare la quantità di acqua trattenuta e aumentare il peso dei filetti.

Le tecniche sono diverse: spesso si inietta una soluzione contenente l’additivo, oppure si lascia il pesce in ammollo in acqua in modo che il principio attivo venga assorbito.

Se per i polifosfati non esiste la certezza matematica che siano stati iniettati, perché degradano in fretta, la presenza di citrati è invece un indice che non lascia spazio a dubbi.

I citrati sono utilizzati per prolungare la conservazione del pesce, proteggere  dall’ossidazione e ridurre  l’irrancidimento dei grassi e le modifiche di colore. Il citrato non è tossico e non ci sono limiti ma si ritiene che la dose giornaliera accettabile sia 20mg/kg.

L’uso di acqua ossigenata nei prodotti ittici è vietato, ma viene utilizzata spesso, tanto da aver provocato la pubblicazione di una circolare del ministero della Salute dove si ribadisce il “divieto di utilizzo di perossido di idrogeno a contatto con il pesce destinato al consumo alimentare ”.

L’acqua ossigenata viene usata in modo illecito perché rende più bianche le carni di: seppie, calamari e totani dando una tonalità molto apprezzata dai consumatori.

L’aspetto critico è che queste sostanze il più delle volte non sono utilizzati per uno scopo tecnologico, ma per mascherare il reale stato di freschezza, variando la colorazione, l’aspetto o aumentando il peso.

Ma il tema maggiormente presente nelle cronache dei giornali e delle televisioni riguarda l’uso del Cafodos. Si tratta di una miscela di acido citrico, citrato di sodio e perossido di idrogeno (quest’ultimo vietato nei prodotti ittici), aggiunti per ridare alla livrea del pesce un po’ di brillantezza e prolungarne la conservazione mediante un effetto battericida. Gli addetti ai lavori sanno che il Cafodos può migliorare l’aspetto soprattutto dei filetti di pesce, è che l’abbinamento con i polifosfati aumenta la quantità di acqua trattenuta.

I pesci che potrebbero essere “truccati” col Cafados sono il tonno, lo sgombro, la palamita, la sardina e l’acciuga.

L’uso improprio del Cafodos sul pesce fresco si deve interpretare come una frode commerciale, anche perché non viene dichiarato in etichetta.

PROSCIUTTO COTTO

Il prosciutto crudo si fa con le migliori cosce di maiale, mentre il cotto si può fare anche con le parti peggiori di diversi maiali. La qualità e il prezzo del prosciutto cotto dipendono infatti da tipologie della carne e quantità d’acqua utilizzata.

Il prodotto migliore è quello che reca sull’etichetta “alta qualità”, che garantisce l’utilizzo di una coscia di animale maturo, ha un tenore d’acqua inferiore al 75,5% e non contiene polifosfati.

Nella fascia media troviamo il cotto “scelto”, sempre ottenuto da cosce intere, ma con umidità al 78,5%, i polifosfati e le proteine del latte o della soia (che servono a trattenere maggiori quantità di acqua.

In ultima posizione il prosciutto cotto senza alcuna altra dicitura: 81% di umidità, polifosfati, proteine e parti peggiori di un maiale o anche di maiali diversi.

I polifosfati (E450) sono additivi utilizzati negli insaccati cotti, il prosciutto cotto, la spalla cotta e nei formaggi fusi, per renderli più morbidi e succosi.
Possono dare problemi digestivi e poiché forniscono all’organismo dosi massicce di fosforo, per poter essere eliminato, questo minerale è legato agli atomi di calcio e poi eliminato insieme. In pratica, un eccesso di fosforo si traduce in una perdita di calcio, a danno di ossa e denti.

RISO PARBOILED

Lo sapevate che il riso parboiled è un riso parzialmente cotto (par-boiled, dall’inglese “partially boiled” parzialmente bollito)?

Il procedimento “Parboiling” funziona come segue:

  • Tramite il metodo del sottovuoto viene rimossa tutta l’aria dal riso greggio.

  • Messo in ammollo in acqua tiepida il riso libera quindi le vitamine e le sostanze minerali contenute nel germoglio e nella pellicola argentea.

  • Infine le sostanze idrosolubili vengono nuovamente pressate all’interno del chicco di riso tramite vapore acqueo e alta pressione.

  • Nuovamente sottoposto a vapore bollente l’amido della superficie del chicco di riso si indurisce.

  • Tramite questa sigillatura le sostanze nutritive rimangono nel chicco.

  • Infine si procede all’essiccazione.

VINO

Ecco cosa può contenere il vino senza che nulla di questi ingredienti compaia in etichetta:

Anidride solforosa (metabisolfito di potassio) E220

Viene utilizzata nei vini per le sue proprietà antiossidanti e antisettiche.

Va usata con precauzione in quanto può dare origine a odori o sapori sgradevoli.

A certi livelli può generare disturbi d’intollerabilità con problemi a livello circolatorio o mal di testa e vanno, quindi, rigorosamente rispettati i limiti legali ammessi per la commercializzazione dei vini stessi. Tali limiti sono di 160 mg/l e 200 mg/l di anidride solforosa totale, rispettivamente per i vini rossi e i vini bianchi.

Lasciando ossigenare il vino, operazione sempre utile, si elimina fino al 30-40% della so2.

E’ auspicabile limitare la quantità di anidride solforosa da aggiungere ai vini, adottando alcune precauzioni fondamentali, come vendemmiare uve sane ed esenti da muffe, eseguire fermentazioni e affinamenti controllati con pulizie dei mosti e dei vini (defecazioni, filtrazioni …) ed igenizzazione dei contenitori e dei locali di vinificazione. I vini biodinamici sono esenti da solfiti aggiunti.

In etichetta i produttori più trasparenti inseriscono dicitura “contiene solfiti”, ma non è obbligatorio specificare la quantità.

 

Acido sorbico e200

Agisce sui lieviti bloccandone le capacità fermentative, evitando così le rifermentazioni. La dose massima legale è di 200 mg/l. Va usato prevalentemente al momento dell’imbottigliamento. Viene usato poco, generalmente in vini medi, perché è comodo nel dosaggio e non ha le controindicazioni della solforosa. La sua attività è blanda e se il produttore esagera si riconosce per un marcato profumo di geranio.

Non è obbligatorio specificarlo in etichetta.

 

Acido ascorbico e300

E’ un antiossidante ma non ha azione antisettica. Va sempre usato all’imbottigliamento e associato all’anidride solforosa. I limiti legali sono di 150mg/l. Se si supera questo limite è anche possibile sentirne la sgradevole presenza sul palato.

Non è obbligatorio specificarlo in etichetta.

Gomma arabica e414

E’ un polisaccaride complesso in soluzione acquosa (estratto da alcune essenze legnose tropicali ed essiccato), con spiccato potere ammorbidente del gusto e stabilizzante nei confronti delle precipitazioni che avvengono nei vini. Le dosi variano da 10 a 300 g/hl.

Non è obbligatorio specificarlo in etichetta.

 

Enzimi

Sono delle sostanze presenti in natura che catalizzano le operazioni di rottura delle catene pectolitiche, ossia di quei costituenti delle membrane cellulari (delle bucce d’uva), che una volta liberati formano la parte torbida dei mosti, impedendone la pulizia e la filtrazione. Tali enzimi agiscono, in dosi da 1 a massimo 4 g/hl massimo, proprio accelerando tali azioni di rottura delle pectine, di sedimentazione e anche di estrazione del colore, presente sempre nelle bucce. Sono totalmente di origine naturale e sono usati in dosi bassissime come coadiuvanti degli enzimi già presenti.

Non è obbligatorio specificarlo in etichetta.

 

Lieviti

Sono dei microrganismi che operano la fermentazione alcolica dei mosti, trasformandoli in una bevanda alcolica: il vino. Tali microrganismi sono selezionati in natura e commercializzati in confezioni liofilizzate e pronte all’uso (dosi da 10 a 50 g/hl), proprio per garantire una fermentazione controllata, regolare, pulita per una migliore resa aromatica, una minore produzione di prodotti secondari e indesiderati della fermentazione e una riduzione del tenore di anidride solforosa utilizzata. Sono assolutamente naturali come per il pane, lo yogurt. Sono parenti dei fermenti lattici che si comprano in farmacia.

 

Tannini

Sono presenti naturalmente nel vino perchè estratti dalle parti solide dell’acino d’uva, ma a volte sono aggiunti a posteriori per migliorare colore e gusto di vini scadenti. 

Le dosi d’impiego variano da 1 a 20 g/hl.

Fuori dall’europa e da poco tempo anche nella ue, è consentito anche l’uso dei cheap. Sono schegge di legno, in genere quercia, che vengono immesse nelle vasche d’acciaio, rilasciano tannini ed essenze. Danno cioè al vino, in pochi giorni, l’effetto “barrique”. Ma solo l’effetto. Ne esistono anche di liofilizzati.

Tra i prodotti vietati vi è la glicerina, un ammorbidente. L’aggiunta è assolutamente vietata, in passato ci sono stati casi di utilizzo.

L’unico obbligo di indicazione in etichetta è quello dell’achool effettivo.

Ma allora perché non rendere obbligatorio specificare tutti i prodotti citati quando presenti?

ORTOFRUTTA

Gli unici obblighi di menzione in etichetta per i prodotti ortofrutticoli freschi sono:

  • la provenienza (la nazione è sufficiente)
  • la varietà (es. pere Williams)
  • la categoria (Extra, I o II) che si riferisce quasi esclusivamente alla qualità estetica (pulizia, colore, imperfezioni)

 

L’ortofrutta non può essere “truccata” cioè devono essere privi di coloranti, ma al contempo possono essere sottoposti a trattamenti post-raccolto e non sempre dichiarati in etichetta.

Gli agrumi, in particolare quelli di derivazione non biologica, sono comunemente trattati con additivi e sostanze, per lo più tossiche alle alte concentrazioni, che evitano la formazione di muffe o danno ai frutti un aspetto più scintillante e lucido. Ma anche altra frutta come le mele viene lucidata con la gommalacca.

 

Anche gli agrumi italiani sono trattati, dopo la raccolta, con cere per dare lucentezza ai frutti. Secondo la legislazione nazionale, il confezionatore deve indicare in etichetta se e quale tipo di cera ha usato per le arance (diciture che la norma non prevede per gli altri frutti).

L’europa non la pensa così, per cui i confezionatori degli altri paesi possono utilizzare cere e prodotti fungicidi non autorizzati in italia, ed esportare da noi i frutti confezionati e trattati con questi additivi. È un paradosso, ma è così.

In etichetta compare la dicitura “buccia non commestibile” quando gli agrumi sono trattati con additivi ammessi dalla legislazione nazionale. Se però si usa cera d’api per lucidare la parte esterna allora la scritta non compare.

Le sostanze usate nei trattamenti post raccolto

La legge italiana permette di potere effettuare trattamenti successivi al raccolto della frutta per migliorarne la conservazione e l’estetica.

Le principali sostanze chimiche usate per il maquillage della frutta sono:

 

  • il difenile (E 230);
  • l’ortofenilfenolo (E 231);
  • l’ortofenilfenato di sodio (E 232);
  • il tiobendazolo (E 233);
  • la gommalacca (E 904);
  • l’etilene.

Il difenile (E230) viene impiegato come antimuffa, per il trattamento della superficie degli agrumi o, per le cartine che li avvolgono e, spesso, anche per il trattamento delle cassette che li contengono.
Con questa sostanza vengono trattati sia gli agrumi nostrani che quelli di importazione.

Una volta che la buccia si è impregnata di difenile, le arance si conservano per mesi, a vantaggio dei commercianti.
Dal punto di vista della salute non esiste tuttavia la certezza che questa sostanza non raggiunga anche l’interno dei frutti. E’ da evidenziare che è inutile lavare la frutta con saponi o bicarbonato, perché il difenile non se ne andrà!

Spesso la buccia “trattata”, dopo un breve lavaggio viene utilizzata  dalle pasticcerie per aromatizzare dolci o come componente di liquori casalinghi oppure, e lo fanno ancora in molti, viene usata come ingrediente per la realizzazione di un digestivo casalingo denominato “canarino”, ottenuto facendo bollire scorza ed acqua.

 

Il tiabendazolo (E233)

è principalmente usato per contrastare muffe, avvizzimenti ed altre malattie fungine in frutta (in particolare nelle arance) e verdura. Trova impiego come conservante alimentare sotto la denominazione e233. Ad esempio, è applicato alla buccia delle banane per preservarne la freschezza ed è un comune ingrediente delle cere collocate sulla scorza degli agrumi.

È altresì presente nelle soluzioni acquose nelle quali tali frutti vengono immersi.

A causa della sua lieve tossicità, il suo uso come additivo è stato vietato in unione europea, negli stati uniti, e in australia e nuova zelanda.

La dose giornaliera accettabile del tiabendazolo è di 0,1-0,3 milligrammi per ogni kilogrammo di massa corporea. In alte dosi, il composto appare fortemente tossico, causando consistenti disordini al fegato e all’intestino. Nelle cavie esposte ad alte quantità di tiabendazolo sono stati inoltre rilevati disordini riproduttivi e riduzione del peso dei piccoli al momento dello svezzamento.

Gli effetti collaterali sull’uomo includono nausea, vomito, perdita di appetito, diarrea, vertigini, sonnolenza, mal di testa o, più raramente, anche ronzio alle orecchie, disturbi visivi, mal di stomaco, ingiallimento delle pelle e dell’urina, febbre, affaticamento, aumento della sete e aumento o riduzione dell’urina prodotta. Non ne sono stati rilevati effetti cancerogeni o mutageni.

 

Gommalacca (E904) La gommalacca è un polimero naturale ed ha una composizione chimica simile a quella dei polimeri sintetici, ed è quindi considerata una plastica naturale. E’ ottenuto dalla secrezione di un insetto, la Kerria Lacca, che cresce nelle foreste tailandesi. Per ottenere 333 g di gommalacca occorrono migliaia di insetti.

Questo additivo alimentare, un tempo usato per produrre i dischi per il grammofono, è impiegato anche come agente lucidante di pillole e caramelle oltre che per lucidare i mobili. Può essere modellata a caldo, per cui è classificata come termoplastica. Essendo commestibile, la gommalacca è stata usata come agente lucidante per pillole e caramelle. A questo fine, è classificata come additivo alimentare con il numero E904 e viene ancora usata come rivestimento della frutta per impedirne il deperimento dopo la raccolta.

 

Acido Sorbico (E200) L’ACIDO SORBICO È UN CONSERVANTE DI ORIGINE NATURALE, CHE PUÒ ESSERE PRODOTTO PER VIA SINTETICA. PRESENTA UNA TOSSICITÀ MOLTO BASSA: QUESTO SIA PERCHÉ VIENE UTILIZZATO IN DOSI RIDOTTE (0,2 MG/KG), SIA PERCHÉ LA SUA DL50 (DOSE LETALE) È OLTRE I 5G/KG. PERTANTO, ESSENDO IMPIEGATO IN DOSI COSÌ LIMITATE, E AVENDO UNA DOSE LETALE COSÌ ALTA PRO KG, È UN CONSERVANTE CHE SI PUÒ RITENERE SICURO. POCHE PERSONE, INFATTI, MANIFESTANO REAZIONI ALLERGICHE ALL’ACIDO SORBICO. SPESSO L’ACIDO SORBICO È PRESENTE, COME INIBITORE DI LIEVITI E MUFFE, IN PREPARATI PER CREMA PASTICCERA, NEI FORMAGGI NON STAGIONATI, NEL PANE A FETTE, NEL PANE DI SEGALE, NELLA PASTA DI OLIVE, NELLE BIBITE, NEI RIPIENI DELLE PASTE FRESCHE, NEI PREPARATI PER GNOCCHI FRESCHI, NELLA POLENTA PRONTA, NELLA FRUTTA, NELLE MARGARINE. NONOSTANTE L’ACIDO SORBICO PRESENTI UNA DOSE LETALE MOLTO ALTA, È NECESSARIO FARE UNA PICCOLA RIFLESSIONE: ESSENDO UN CONSERVANTE MOLTO UTILIZZATO È POSSIBILE (ANCHE SE AVVIENE RARAMENTE), CHE NELL’ARCO DELLA GIORNATA SI CONSUMINO COSÌ TANTI ALIMENTI CONTENENTI E200 DA ARRIVARE A CONSUMARE DOSI VICINE A QUELLA TOSSICA; PER QUESTO MOTIVO È CONSIGLIATO CONTROLLARE CON ATTENZIONE LE VARIE ETICHETTE PER EVITARE CHE SI VERIFICHI CIÒ. SE SI DOVESSE RAGGIUNGERE LA DOSE TOSSICA, SI PENSA CHE QUESTO CONSERVANTE POSSA PRESENTARE RISCHI PER LA SALUTE, PERCHÉ PUÒ ALTERARE I SISTEMI ENZIMATICI DEL CORPO UMANO.

 

Ortofenilfenolo (E231) PER ESSERE USATO IN ITALIA NECESSITA DELL’AUTORIZZAZIONE DEL MINISTERO DELLA SALUTE NON ESSENDO STATO REGISTRATO IN ITALIA, CHI NON LO FA INCORRE IN SANZIONI E QUINDI È POCO UTILIZZATO DAGLI OPERATORI ITALIANI. IN EUROPA INVECE LA LEGGE COMUNITARIA CONSENTE DI UTILIZZARLO. I DERIVATI FENOLICI E IL TIABENDAZOLO (E230, E231, E232 , E233) SONO DOTATI DI UNA CERTA TOSSICITÀ, INFATTI SONO PROIBITI IN AUSTRALIA. VENGONO DIFFUSAMENTE UTILIZZATI PER IL TRATTAMENTO SUPERFICIALE DEGLI AGRUMI E DELLE BANANE. QUESTO SIGNIFICA CHE LE BUCCE DEI PRODOTTI DI IMPORTAZIONE POSSONO ESSERE STATE TRATTATE CON QUESTI ADDITIVI.

 

OLTRE A TUTTE QUESTE SOSTANZE CHIMICHE CHE SICURAMENTE NON FARANNO TANTO BENE AL NOSTRO ORGANISMO, C’È ANCHE LA MATURAZIONE ARTIFICIALE DELLA FRUTTA MEDIANTE L’ETILENE.
E’ RISAPUTO CHE PER MOTIVI COMMERCIALI LA FRUTTA VIENE COLTA ANCORA ACERBA DALLE PIANTE PER ESSERE IMMAGAZZINATA IN GRANDI CELLE FRIGORIFERE; SUCCESSIVAMENTE, IN BASE ALLE RICHIESTE DEL MERCATO, VIENE FATTA MATURARE ARTIFICIALMENTE MEDIANTE L’USO DI QUESTO GAS.

LA FRUTTA CHE CONSUMIAMO, QUINDI, RISULTA ESSERE POVERA DI VITAMINE E PRINCIPI SALUTARI CHE UN TEMPO CONSENTIVANO AI NOSTRI NONNI DI VIVERE IN SALUTE OLTRE CHE RICCA DI ADDITIVI CHIMICI.
CONSIDERATO CHE L’ANTICO DETTO: “NOI SIAMO QUELLO CHE MANGIAMO” È PURTROPPO UNA TRISTE VERITÀ, VISTO CHE IL 90% DEGLI ALIMENTI CHE CONSUMIAMO QUOTIDIANAMENTE SONO “CONDITI” CON ADDITIVI ALIMENTARI,  È PER CERTI VERSI SPIEGABILE SE AI NOSTRI GIORNI LE INTOLLERANZE ALIMENTARI, LE MALATTIE CRONICHE E I TUMORI SONO IN ASCESA.

 

 

 

 

 

 

è principalmente usato per contrastare muffe, avvizzimenti ed altre malattie fungine in frutta (in particolare nelle arance) e verdura. Trova impiego come conservante alimentare sotto la denominazione e233. Ad esempio, è applicato alla buccia delle banane per preservarne la freschezza ed è un comune ingrediente delle cere collocate sulla scorza degli agrumi.

È altresì presente nelle soluzioni acquose nelle quali tali frutti vengono immersi.

A causa della sua lieve tossicità, il suo uso come additivo è stato vietato in unione europea, negli stati uniti, e in australia e nuova zelanda.

La dose giornaliera accettabile del tiabendazolo è di 0,1-0,3 milligrammi per ogni kilogrammo di massa corporea. In alte dosi, il composto appare fortemente tossico, causando consistenti disordini al fegato e all’intestino. Nelle cavie esposte ad alte quantità di tiabendazolo sono stati inoltre rilevati disordini riproduttivi e riduzione del peso dei piccoli al momento dello svezzamento.

Gli effetti collaterali sull’uomo includono nausea, vomito, perdita di appetito, diarrea, vertigini, sonnolenza, mal di testa o, più raramente, anche ronzio alle orecchie, disturbi visivi, mal di stomaco, ingiallimento delle pelle e dell’urina, febbre, affaticamento, aumento della sete e aumento o riduzione dell’urina prodotta. Non ne sono stati rilevati effetti cancerogeni o mutageni.

RESIDUI DI PESTICIDI

Le etichette non citano possibili residui di pesticidi negli alimenti.

Secondo uno studio di Legambiente un terzo della frutta e della verdura che finisce sulle tavole degli italiani presenta tracce di pesticidi. Alcuni campioni poi sono da record, con 6, 7, anche 9 principi chimici presenti contemporaneamente.

L’analisi è stata effettuata su campioni di ortofrutta e derivati e analizzati dai laboratori pubblici italiani delle Agenzie Regionali per la Protezione Ambientale (ARPA).

Tra i diversi residui trovati risultato il Captano, Clorphyrifos, Boscalid, Fosmet, Dimetoato, Diazinone.

Tra i più pericolosi il Clorphyrifos che è riconosciuto da diversi studi scientifici come un interferente endocrino, perché altera il funzionamento del sistema endocrino causando danni all’organismo, compromettendo il normale funzionamento del sistema ormonale, fondamentale per la sopravvivenza. Il Clorphyrifos e i suoi metaboliti, oltre ad agire come interferenti endocrini, hanno una spiccata attività neurotossica, con potenziali effetti a lungo termine sulla regolazione neuro-endocrina e sullo sviluppo psicosociale.

La normativa vigente ha portato sicuramente ad un maggiore controllo delle sostanze attive impiegate nella produzione dei formulati e l’armonizzazione europea dei limiti massimi di residuo consentito (LMR) negli alimenti, intervenuta nel 2008, ha rappresentato senz’altro un importante passo in avanti, ma manca una regolamentazione specifica rispetto al simultaneo impiego di più principi attivi nella produzione dei formulati, come pure sulla rintracciabilità di più residui in un singolo prodotto alimentare.

La normativa, almeno per il momento, non si esprime rispetto al cosiddetto multi residuo cioè, al quantitativo di residui che si possono ritrovare negli alimenti e la definizione stessa dei limiti i massimo residuo (LMR) si basa solo sui singoli residui.

E’ quindi un obiettivo da perseguire quello di conoscere gli effetti sinergici che possono derivare dall’uso simultaneo di più pesticidi. E’ necessario capire i rischi a cui sono esposti in primis i bambini, ma anche gli adulti a causa della presenza sempre crescente di prodotti multi residuo, cioè di prodotti alimentari contenenti più di un residuo di pesticida.

Infatti, anche se a piccole dosi e sotto i limiti stabiliti dalla legge, l’azione sinergica di diverse sostanze assunte dall’ambiente possono avere un effetto cancerogeno.

E’ indubbio che i prodotti biologici sono da preferire, e non è un caso che il consumo del biologico in Italia è in costante crescita.

A questo link è possibile scaricare il dettagliato studio di Legambiente sui residui di pesticidi negli alimenti: http://www.legambiente.it/contenuti/dossier/pesticidi-nel-piatto

AROMI

 

Gli aromi vengono aggiunti agli alimenti per esaltarne il sapore, per dare all’alimento il gusto che ha perso durante il trattamento industriale o semplicemente per aggiungere qualcosa che i metodi intensivi di coltivazione moderni non riescono a preservare. Non tutti gli aromi sono uguali, e tra le diverse tipologie che troviamo in etichetta, ci sono grandi differenze:

Gli aromi naturali, ottenuti da macinazione, frammentazione, macinazione o distillazione (con alcol e altri solventi) di componenti di origine vegetale o animale. La legge per i prodotti biologici ammette solo l’aggiunta di aromi naturali. Sono anche i preferiti dal consumatore, che però non sa che talvolta non derivano da alimenti, né che per estrarli e diluirli occorrono solventi chimici.

 

Gli aromi natural-identici, che sono uguali a quelli in natura ma sono sintetici (per esempio la vanillna), e sono i preferiti dalle aziende perché costano meno, è più facile controllarne la sicurezza d’uso e si conservano meglio.

Gli aromi artificiali (per esempio l’etilvanillina), che invece suscitano diffidenza nel consumatore, tanto che le aziende alimentari spesso “strillano” sui loro prodotti “non contiene aromi artificiali”;

 

Se si tratta di un aroma naturale, l’etichetta segnalerà aromi naturali o ne specificherà il tipo (aroma di vaniglia). Se si tratta di un aroma naturale identico o artificiale, l’etichetta riporterà semplicemente la parola aroma.

Difficilmente un prodotto in commercio non contiene la parola aroma in ultima posizione nell’elenco degli ingredienti. Solo gli ortofrutticoli freschi e un gruppo ristretto che comprende: olio, latte, uova, vino, pasta secca, formaggi, miele, yogurt naturale, succhi di frutta 100%, cacao amaro e pochi altri.

Perché si aggiungono gli aromi?

La questione è tecnica perché il processo industriale e la necessità di mantenere il prodotto sino alla scadenza, comportano l’inevitabile perdita delle note aromatiche. Questa perdita viene supportata con l’aggiunta di aromi in grado di restituire al prodotto la fragranza originale.

La perdita della nota aromatica nei prodotti, se non ripristinata con aromi addizionati, comporta l’esclusione dal mercato: il prodotto non piace, non viene venduto.

E per i prodotti affumicati come speck, salmone, il prosciutto, ecc. Pensate che siano stati veramente affumicati bruciando legno di ginepro e facendo penetrare il fumo nelle carni?

Questo procedimento avrebbe un costo molto alto, non paragonabile rispetto alla semplice aggiunta di un aroma nell’alimento. In questo caso aroma di affumicato.

Ma cosa si nasconde dietro la parola aromi?

In genere le sei lettere indicano un numero variabile da 10 a 40 e più molecole di sostanze classificate come terpeni, alcoli, aldeidi, chetoni … e altri composti dai nomi impronunciabili.

L’odore di un frutto come la fragola è composto da oltre 250 molecole. Per il cioccolato sono più di 600, mentre per il caffè tostato si supera le 900. L’industria individua queste molecole, le ricostruisce in laboratorio le mette a disposizione delle aziende alimentari che ne utilizzano solo una parte (quelle che caratterizzano meglio l’odore, chiamate molecole target). Alcune molecole target sono abbastanza conosciute,  basta citare il mentolo della menta e la vanillina della vaniglia.

Tornando all’aroma artificiale di fragola (che purtroppo per noi troviamo in tutti i composti di fragole: yogurt, dolci, marmellate, ecc. Che hanno nell’etichetta la scritta aromi): contiene questi ingredienti:

immagine fragola

 

Amil-acetato, amil-butirato, amil-valerato, anetolo, anisil-formato, benzil-acetato, benzile-isobutirato, acido butirrico, cinnamil-isobutirato, cinnamil-valerato, olio essenziale di cognac, díacetíle, dipropil-chetone, etil-acetato, etil-amilchetone, etil-butirato, etil-cinnamato, etil-eptanoato, etil-eptilato, etil-iactato, etil-metilfenilglucidato, etil-nitrato, etil-propionato, etil-valerato, eliotropina, idrossifrenip2-butanone (soluzione al dieci percento in alcol), alfa-ionone, isobutil-antranilato, isobutil-butirato, olio essenziale di limone, maltolo, 4metilacetofenone, metil-antranilato, metil-benzoato ‘ metil-cinnamato, carbonato di metil-eptina, metil-naftil_chetone, metilsalicìlato, olio essenziale di menta, olio essenziale dì neroli, nerolina, neril-isobutirato, burro di giaggiolo, alcol fenetilico, etere di rum, gamma-undecalactone, vanillina e solvente.
Può bastare? Non descriveremo il processo vero e proprio di fabbricazione, e soprattutto i solventi che vengono utilizzati!

SALE

 

Il sale integrale contiene sali minerali (magnesio, manganese, selenio, ecc) e iodio.

Purtroppo nel processo di raffinazione questi Sali vengono eliminati; questo succede non perché questi Sali siano nocivi, ma solo per un motivo tecnico: il sale viene raffinato per privarlo del magnesio, perché esso assorbe l’umidità dell’aria bagnando il sale e distruggendo la scatola di cartone in cui esso è contenuto.

Spesso lo iodio è riaggiunto al sale, ecco perché in certe etichette troviamo la scritta “sale iodato”.

 

ALIMENTI RICCHI DI SALE

 

Il sale (cloruro di sodio), come lo zucchero e i grassi, rendono i piatti appetitosi e invogliano al consumo.

Il sale, contribuisce a rendere invitante il sapore di cibi di ogni tipo: dalla pancetta alla pizza, dal formaggio alle patatine fritte, dai cetriolini ai condimenti per insalate, fino agli snack e ai prodotti da forno.

Facciamo un grande uso di sale, sia aggiungendolo ai cibi, sia ritrovandocelo nei piatti pronti. Ecco perchè i piatti pronti venduti al supermercato hanno alte quantità di sale: chi comprerebbe mai un piatto insipido? Un piatto invece molto saporito invita al consumo e rende difficile fermarsi.

 

Fra i pilastri dei cibi pronti, le industrie alimentari considerano il sale forse il più efficace per tutte le cose che può fare oltre che a eccitare le papille gustative.

Nel mondo degli alimenti trasformati il sale è il grande riparatore, risolve una miriade di problemi che si presentano di norma in fabbrica.

I corn flackes, per esempio, hanno un gusto metallico se manca il sale. I crackers risultano amari e mollicci e si attaccano al palato. Il prosciutto diventa incredibilmente gommoso. Nella fabbricazione del pane il sale impedisce all’enorme macchina che gira veloce di rompersi e alla linea di produzione di bloccarsi. Il sale rallenta il processo di lievitazione permettendo ai forni di rispettare il ritmo di produzione.

 

TROPPO SALE NUOCE

 

Il sale ci piace. Fra i gusti di base (dolce, aspro, amaro, salato) il sale è uno dei più difficili a cui rinunciare.

Eppure dovremmo ricordarci che un consumo elevato di sale determina rischi di ipertensione, quasi un 1/3 della popolazione mondiale ne soffre.

L’OMS, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, valuta come quantità giornaliera più che sufficiente il sale presente normalmente nei cibi, senza necessità quindi di integrarlo ulteriormente.

Il consumo normale medio deve infatti rimanere sotto i 5 grammi al giorno (che corrispondono a 2 grammi di sodio)mentre la media italiana di consumo di sale supera allegramente i 10 grammi (circa 3,95 grammi di sodio).

Di seguito una classifica fatta su unità di misure diverse (etto, cucchiaino) in base ad un consumo-tipo comune per tutti.

 

1 Prosciutto crudo 100 grammi ne contengano oltre 6 di sale Basta un etto per superare la dose massima giornaliera suggerita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità
2 Salame Milano 100 grammi contengono 3,8 grammi di sale Purtroppo il sale deve necessariamente essere utilizzato nella preparazione degli insaccati in quanto svolge una azione di inibizione nei confronti dello sviluppo dei microbi presenti
3 Olive in salamoia 10 olive contengono ben 2,2 grammi di sale
4 Parmigiano 100 grammi di parmigiano contiene 2 grammi di sale E’ circa il 40% della dose massima raccomandata dalla OMS
5 Prosciutto cotto 100 grammi contengono 1,8 grammi di sale
6 Patatine fritte Un sacchetto da 100 grammi contiene 1,4 grammi di sale E’ il 25% della dose giornaliera di sale
7 Senape Un cucchiaino contiene 1,0 grammo di sale
8 Mozzarella 100 grammi contengono 1,0 grammo di sale Comparazione con mozzarella fatta di latte vaccino. Se fosse di bufala, conterrebbe quantità di sale maggiori
9 Ketchup Un cucchiaino contiene 0,4 grammi di sale Il ketchup contiene anche molto zucchero, il sapore del sale è quindi mitigato
10 Maionese Un cucchiaio di maionese contiene 0,2 g. di sale

 

ATTENZIONE AL SODIO

Il sale non è il solo modo che le industrie alimentari hanno di sovraccaricarci di sodio. Le aziende aggiungono sodio sotto forma di altri additivi alimentari, oltre al consueto sale usato in abbondanza.

Lo fanno attraverso le dozzine di composti a base di sodio aggiunti nei cibi a preparazione industriale:

per ritardare l’inizio della decomposizione batterica,

per legare gli ingredienti e per amalgamare miscele le cui componenti rimarrebbero altrimenti staccate, come le molecole di proteine e di formaggi fusi.

Con nomi come citrato di sodio, fosfato di sodio e pirofosfato di sodio acido, questi composti sono diventati componenti essenziali nei cibi industriali, cui donano un aspetto e un gusto invitanti prolungandone la durata a scaffale.

Insieme questi composti contribuiscono con meno sodio del sale, ma in ogni caso il supermercato si è riempito di prodotti che ne dipendono.

IN CONCLUSIONE

 

Il sale è una funzione strategica per la vendita:

  • rende i cibi più saporiti e irresistibili

  • funge da conservante e da additivo per bloccare la proliferazione batterica

  • è un eccellente mascheratore di sapori sgraditi che gli additivi negli alimenti trasformati possono produrre, come il sapore metallico o amaro.

Quindi difficilemente le aziende accetteranno di ridurre i livelli di sale.

Quello che possiamo fare per salvaguardare la nostra salute è mangiare sempre meno cibi trasformati e sempre più cibi freschi, cucinati in casa al momento.

Lo zucchero così come normalmente lo intendiamo è il saccarosio, un composto di glucosio e saccarosio che viene estratto dalla barbabietola, dalla canna da zucchero o da altri vegetali come il mais dolce o il sorgo, ma in piccolissime quantità.

Lo zucchero bianco o saccarosio per esser bianco come lo conosciamo subisce un’ enormità di processi: viene depurato con calce, trattato con ANIDRIDE CARBONICA, ACIDO SOLFOROSO, cotto, raffreddato, cristallizzato, centrifugato, filtrato, decolorato con carbone animale e colorato con coloranti (alcuni dei quali derivanti da catrame e cancerogeni!) e tutto per farlo così bianco e brillante.

UNA IMMAGINE POSITIVA

Lo zucchero in passato, almeno fino al repentino aumento dell’obesità negli anni Ottanta negli Stati Uniti, è stato reclamizzato per dare una immagini positiva ai prodotti: le parole “mielato”, “ricoperto di zucchero”, “dolce”, “sciropposo” sono state strumenti di marketing efficaci per attirare i consumatori.

Più in generale la parola “dolce” è stata usata per suggerire qualsiasi cosa buona, innocente o attraente.

Chi si ricorda della pubblicità dove si dichiarava che lo zucchero faceva bene al cervello?

Nel tempo la verità è emersa: un eccesso di consumo di zucchero non è tollerato dal nostro corpo e porta a squilibri metabolici fino ad arrivare al diabete.

ALIMENTO SALUTARE?

Lo zucchero non è un alimento salutare, perchè fornisce quello che gli esperti di nutrizione chiamano calorievuote o nude”, esso manca dei minerali naturali presenti nella barbabietola e nella canna. Per poter essere assimilato lo zucchero “ruba” al nostro corpo vitamine e sali minerali importanti come il calcio. Lo zucchero assunto quotidianamente produce una condizione di continua iperacidità e, nel tentativo di rettificare lo squilibrio, vengono richiesti dal profondo dell’organismo sempre più minerali. Il corpo, per salvaguardare il sangue e ridurre l’acidità, dalle ossa e dai denti prende tanto calcio da dare inizio ad un decadimento ed indebolimento generale con la comparsa nel tempo di artrite, artrosi e osteoporosi e della ovvia carie dentarie.

A dimostrazione di come lo zucchero è gradito al nostro corpo una nota multinazionale ha eseguito dei test scientifici. Furono fatti entrare otto studenti universitari in una macchina per la risonanza magnetica. Mentre la macchina effettuava la scansione del loro cervello un assistente forniva loro del gelato alla vaniglia, lasciandolo scogliere loro in bocca.

Le immagini che se ne ricavarono furono sorprendenti. Risultò infatti che in ogni momento in cui si degustava il gelato i centri del cervello deputati al piacere si attivavano.

AMATO ZUCCHERO

Sebbene lo zucchero non ci faccia bene piace al nostro palato, infatti pare che il nostro corpo abbia una innata predisposizione per i dolci. Esistono particolari recettori per la dolcezza in ciascuna delle diecimila papille gustative della bocca e tutte , in un modo o nell’altro, sono collegate alle parti del cervello denominate zone del piacere.

Non è nemmeno necessario consumare zucchero per sentire il suo potere di attrazione, basterà la pizza o qualunque altro amido raffinato che il corpo trasforma in zucchero partendo proprio dalla bocca, grazie ad un enzima denominato amilasi.

Più è rapida la trasformazione dell’amido in zucchero, più veloce sarà il processo con cui il cervello ne ottiene la ricompensa.

Gli alimenti raffinati ci piacciono perché portano ad un piacere immediato, associato ad elevate quantità di zucchero. Succede però che quando si metabolizza lo zucchero con notevole rapidità il corpo viene inondato da più zucchero di quanto possa affrontare, mentre con un cereale integrale il processo è più graduale e si può digerire in maniera più ordinata.

COME OCCULTARE LO ZUCCHERO IN ETICHETTA

Le industrie alimentari sanno che i consumatori stanno diventando sempre più informati, molti sanno che gli ingredienti sono elencati in ordine della loro proporzione nel prodotto.

Proprio per questo molte ditte distribuiscono gli zuccheri presenti tra molti ingredienti così che le quantità non compaiono nei primi tre dell’elenco.

Così ci possiamo ad esempio trovare davanti ad una lista che contiene una combinazione di saccarosio, fruttosio, zucchero di canna, destrosio senza che nessuno di essi sia presente nelle prime posizioni dell’elenco; in realtà se poi andiamo a far bene i conti, probabilmente quel prodotto contiene più zuccheri di tanti altri!

Ma vediamoli in dettaglio.

Lo zucchero da tavola spesso è citato come saccarosio, oppure viene proposto con altri nomi: zucchero di canna, zucchero invertito, sciroppo di glucosio, sciroppo di fruttosio concentrato.

Se nelle etichette compare la scritta “senza saccarosio” potrebbe non significare la mancanza di zuccheri, perché potrebbero essere presenti altri zuccheri come: fruttosio (zucchero della frutta), glucosio, lattosio (zucchero del latte), sorbitolo, destrosio.

Poi ci sono i derivati dell’amido: maltosio, destrine, sciroppo di amido con fruttosio, maltodestrine, mannitolo, sciroppo di malto, succo zuccherato disidratato, succo zuccherato evaporato.

Una sezione importante è quella delle alternative “naturali” che comprendono: miele, succo di frutta concentrato, melassa, zucchero d’uva, succo di mele concentrato, sciroppo d’acero, sciroppo di riso, sciroppo di sorgo.

Se poi in etichetta vi è scritto “senza zucchero” e non compaiono gli altri zuccheri appena citati potrebbe significare che sono presenti dei dolcificanti artificiali:

Saccarina, Aspartame, Acesulfame, e i meno conosciuti Ciclammati e Sucralosio (vedasi capitolo in Additivi\Edulcoranti).

L’ultimo dolcificante arrivato da pochi mesi sul mercato è la Stevia, che però viene classificata come naturale essendo estratto da una pianta. In seconda posizione nella lista ci sono anche gli zuccheri derivati dal glucosio: sorbitolo, xilitolo, mannitolo, isomalto, maltitolo.

La realtà è che lo zucchero e i numerosi derivati si trovano un po’ dappertutto, come per esempio nella maionese o nella passata di pomodoro, e se non siamo sensibilizzati all’argomento difficilmente ce ne accorgiamo.

DIPENDENZA DA ZUCCHERO

Lo zucchero agisce sul sistema nervoso e sul metabolismo, dando dei picchi di stimolazione e delle succesive ricadute vertiginose con conseguenti stati di irritabilità, euforia e continuo bisogno di ingestione di altre quantità di zucchero creando così una forma di dipendenza data appunto dal picco di glicemia nel sangue conseguente al velocissimo assorbimento dello zucchero stesso;

Uno studio dell’Università di Princeton ha dimostrato che molti “golosi” sono in realtà tossici perché lo zucchero – a quanto pare – provoca dipendenza.

Questa dei ricercatori di Princeton è una scoperta, importante per il mondo scientifico perché conferma ciò che molte persone a dieta sospettavano da tempo: lo zucchero è una specie di droga.

Secondo il neuroscienziato Bart Hoebel, abbuffarsi di zucchero può infatti avere effetti sul cervello molto simili a quelli provocati da un abuso di sostanze stupefacenti. Infatti l’abuso di droghe fa aumentare il rilascio di dopamina, lo zucchero è stato scoperto che agisce allo stesso modo.

LO ZUCCHERO PIACE ANCHE AI PRODUTTORI

Lo zucchero piace anche ai produttori sì, ma in termini di vendita. Le industrie alimentari sanno molto bene come mettere lo zucchero al loro servizio.

L’impiego più ovvio è quello di per contrastare il sapore acido o amaro di alcuni preparati come la salsa di pomodoro, la maionese o le medicine. E questa sembra l’utilizzo più ovvio.

Ma lo zucchero ha molte altre qualità care ai produttori, eccole:

 

CONSISTENZA, VOLUME E UMIDITÀ

Gli zuccheri hanno un ruolo importante per la definizione della massa (volume) infatti contribuiscono a conferire volume a torte e biscotti, i dolci e le frittelle si gonfiano mentre friggono.
Anche nella consistenza lo zucchero ha un ruolo importante, infatti la combinazione di zucchero e agenti gelificanti (come la pectina) dà la tipica consistenza gelatinosa alle marmellate.

Lo zucchero viene usato per fornire croccantezza, per esempio il pane croccante, non diventa stantio, i cereali tostati della colazione rimangono morbidi.

Nei prodotti da forno, lo zucchero aumenta la temperatura di gelatinizzazione dell’amido, intrappolando bolle d’aria e fornendo una consistenza morbida alle torte.

Inoltre è fondamentale per la fermentazione del lievito (ad esempio per la lievitazione del pane). Lo zucchero ha la capacità di legare l’acqua, trattenendo l’umidità, che è importante per la conservazione degli alimenti e per conferir loro la giusta consistenza.

Infine lo zucchero riduce il punto di congelamento e questo è molto utile per la produzione di gelati cremosi, e aumenta il punto di ebollizione caratteristica sfruttata per la produzione dei dolci.

 

COLORE

Lo zucchero è responsabile del tipico colore bruno dei prodotti cotti, cioè Il colore marrone-dorato della crosta dei prodotti da forno come biscotti o pane tostato.

 

CONSERVAZIONE DEGLI ALIMENTI

Lo zucchero è importante anche per la conservazione degli alimenti come marmellate, dolci di frutta sciroppata, frutta candita e similari.

L’elevato contenuto di zuccheri previene infatti la crescita batterica e il deterioramento degli alimenti.

 

BEVANDE ALCOLICHE

Lo zucchero è alla base della fermentazione alcolica, cioè della trasformazione degli zuccheri ad etanolo (alcool) causata dal lievito, che viene sfruttata per la produzione di bevande alcoliche. Lo zucchero contenuto in uva, grano e frutta è utilizzato rispettivamente per la produzione di vino, birra e whisky, idromele e sidro.

 

VENDITA

E’ dimostrato che lo zucchero rende irresistibile il gusto di cibi e bevande e induce le persone a ricercare e riconsumare gli alimenti zuccherati.

 

Riassumendo, alte quantità di zucchero sono strategiche sia nella preparazione di un alimento, che nella vendita (più zucchero c’è e più si vende).

Alla luce di tutto ciò resta difficile credere a come le industrie alimentari possano recepire le indicazioni della Sanità pubblica e della Commissione Europea sulla riduzione della densità energetica (le calorie per grammo) degli alimenti confezionati, attraverso la diminuzione dei grassi totali e dei carboidrati, compreso lo zucchero.

I coadivanti teconologici sono sostanze o materiali utilizzati per recuperare l’alimento da alcune materie prime, oppure per ottenere un prodotto dai migliori caratteri organolettici.

Sono coadiuvanti i solventi per la decaffeinazione del caffè, i chiarificanti per bevande e succhi di frutta, i demetalizzanti per il vino bianco, i decoloranti per oli e grassi, gli intorbidenti per aranciata e limonata, o gli enzimi (caglio per i formaggi, lievito per il pane, fermenti per la birra, ecc.).

SONO INNOCUI?

I residui lasciati dai coadiuvanti tecnologici negli alimenti sono regolamentati e non possono oltrepassare una soglia massima.

Quali siano queste sostanze e quali queste soglie non è indicato in etichetta perchè non c’è nessun obbligo per farlo.

Un altro fattore da citare tra i possibili inquinanti dei cibi sono gli imballaggi alimentari e altri materiali che vengono a contatto con gli alimenti (ad esempio pellicole, lattine, pentole, contenitori) i quali rilasciano continuamente miscele di sostanze sintetiche nel cibo (a bassi livelli) che vengono poi ingerite dal consumatore di giorno in giorno.

Secondo un nuovo studio condotto dal Food Packaging Forum, 175 sostanze chimiche con note caratteristiche di pericolosità vengono utilizzate legalmente nella produzione degli imballaggi e delle confezioni per gli alimenti in Europa e negli Stati Uniti.

Molte delle 175 sostanze identificate sono classificate come cancerogene, mutagene, tossiche per la riproduzione. Altre sono considerate in grado di interferire con il sistema ormonale. Si tratta dei cosiddetti interferenti endocrini (pensiamo, ad esempio, al bisfenolo A). Un terzo gruppo di sostanze chimiche è considerato bio-accumulabile.

Gli ftalati, che sono ampiamente usati come plastificanti, sono un esempio importante per quanto riguarda le sostanze chimiche che alterano il sistema endocrino e che possono portare a infertilità maschile, malformazioni genitali e cancro. Benzofenoni e ulteriori composti chimici si aggiungono alla lista delle sostanze chimiche che alterano il sistema endocrino usate negli inchiostri per la stampa e nei rivestimenti dei materiali che entrano a contatto con gli alimenti.

Consulta qui l’elenco Sobstitute It Now! e qui il database con tutte le info sulle singole sostanze.

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PESTICIDI o FITOSANITARI

 

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SOSTANZE DA CUI STARE ALLA LARGA

Ci sono alcune sostanze che non si limitano a nuocere, sono delle vere e proprie bombe tossiche che non dovrebbero nemmeno essere presenti sul mercato e dalle quali dobbiamo davvero tenerci alla larga se vogliamo evitare problemi seri di salute.

SCIROPPO DI MAIS AD ALTO CONTENUTO DI FRUTTOSIO (HFCS)

NON BISOGNA FARCI TRARRE IN INGANNO DALLA PAROLA FRUTTOSIO, CHE PER ASSONANZA CI INDICA QUALCOSA DI NATURALE E SANO.

LO SCIROPPO DI MAIS AD ALTO CONTENUTO DI FRUTTOSIO È UNO ZUCCHERO MOLTO POTENTE, PRODOTTO A PARTIRE DALL’AMIDO DI MAIS. E’ FACILMENTE TRASPORTABILE ESSENDO LIQUIDO, ED È PER LE INDUSTRIE ALIMENTARI UN DOLCIFICANE A BUON MERCATO.

IL FRUTTOSIO HA LA CARATTERISTICA DI NON ESSERE METABOLIZZATO COME GLI ALTRI ZUCCHERI PERCHÈ SOVVERTE LA COMUNICAZIONE TRA GLICEMIA E SECREZIONE DI INSULINA, FAVORENDO LA INSULINO-RESISTENZA. QUESTO FA SÌ CHE LA SUA ASSUNNZIONE NON AUMENTI I LIVELLI DI LEPTINA (L’ORMONE CHE DICE AL CERVELLO CHE SIAMO SAZI) E CHE NON SIA PERTANTO IN GRADO DI SEGNALARE UNA CORRETTA RIDUZIONE DELL’APPETITO DOPO LA SUA ASSUNZIONE. IN ALTRE PAROLE ASSUMENDO ALIMENTI CONTENENTI SCIROPPO DI MAIS AD ALTO CONTENUTO DI FRUTTOSIO NON RICEVIAMO MAI DAL NOSTRO CORPO IL SEGNALE DI SAZIETÀ CON IL RISCHIO DI UNA ASSUNZIONE ECCESSIVA DI CIBO E BEVANDE.

ATTENZIONE, PERÒ: IL FRUTTOSIO NON PRESENTA RISCHI QUANDO ASSUNTO TRAMITE LA FRUTTA, RICCA DI FIBRE, ANTIOSSIDANTI E VITAMINE. IL PROBLEMA NASCE QUANDO SI TROVA ISOLATO O ELABORATO PER FARNE UNO SCIROPPO PERCHÈ COSÌ IL CORPO LO ASSORBE A VELOCITÀ MOLTO ELEVATE.

OBESITA’

NEGLI STATI UNITI IL SUO CONSUMO È AUMENTATO DI OLTRE IL 1000% NEL GIRO DI POCHI ANNI, E LA SUA INTRODUZIONE TEMPORALE COINCIDE CON L’INIZIO DELL’EPIDEMIA DI OBESITÀ.

DEL RESTO UN ALIMENTO CHE NON COMUNICA AL NOSTRO CORPO IL SENSO DI SAZIETÀ È PROPRIO QUELLO CHE CI VUOLE PER LE INDUSTRIE ALIMENTARI PER INDURCI A SEMPRE MAGGIOR CONSUMO.

DOVE SI TROVA

LO SCIROPPO DI MAIS AD ALTO CONTENUTO DI FRUTTOSIO SI TROVA PRINCIPALAMENTE IN BEVANDE ZUCCHERATE, dolci, cereali, biscotti, snacks e yogurth, sport drinks, ketchup. Viene inoltre utilizzato in gelateria come controllore del grado di dolcezza e per abbassare il punto di congelamento. Grazie alle sue caratteristiche incrementa incrementa la pastosità e la cremosità del gelato.

DOLCIFICANTI

Aspartame, acesulfame, saccarina, sucralosio sono dolcificanti artificiali molto utilizzanti in sostituzione dello zucchero e molto presenti in molti alimenti e bevande soprattutto di tipo “light”.

Alcune di queste sono riconosciute cancerogene, in generale i dolcificanti sono da evitare perchè confondono il messaggio alimentare che viene dato al nostro corpo innescando il meccanismo della fame.

Vedi anche: http://www.gasbo.it/content/edulcoranti

GRASSI IDROGENATI

L’idrogenazione è un processo che rende solidi gli olii vegetali.

I grassi idrogenati hanno importanti proprietà di conservazione, e per questo, oltre ad essere usati per fare la margarina, sono largamente utilizzati negli impasti dei prodotti da forno, come crackers, grissini, biscotti, ecc.

Nell’organismo questi grassi sono tossici e sono capaci di bloccare il metabolismo e favorire lo sviluppo di malattie cardiache, aumento del colesterolo, diabete e tumori.

(FONTE: “MANGIA CHE TI PASSA”)

ADDITIVI DA EVITARE

Vedere link “additivi da evitare”.

EFSA: l’agenzia europea per la sicurezza alimentare.

Inran: Istituto Nazionale Di Ricerca Sugli E Gli Alimenti Di Roma

CONFEZIONATO IN ATMOSFERA PROTETTIVA: È una tecnologia di confezionamento che, grazie alla sostituzione dell’aria con una miscela di gas, permette di aumentare il periodo di conservabilità dei prodotti alimentari, in particolare di quelli deperibili. L’atmosfera protettiva contribuisce a prolungare la scadenza del prodotto mantenendone inalterate le proprietà sensoriali grazie all’azione inibente e batteriostatica dei gas utilizzati. Le virtù nutrizionali, l’aspetto, il sapore dell’alimento rimangono quindi inalterati.

I gas utilizzati sono anidride carbonica ed azoto. La prima inibisce lo sviluppo di muffe, funghi e batteri e non produce nessun rischio per la salute del consumatore. Il secondo è un composto inerte, inodore, insapore, e viene utilizzato come gas di riempimento. L’atmosfera protettiva viene utilizzata solo seguendo la procedura standard e utilizzando vaschette certificate.

CODEX ALIMENTARIUS: Il Codex Alimentarius è un insieme di regole e di normative elaborate dalla Codex Alimentarius Commission, una Commissione istituita nel 1963 dalla FAO e dall’Organizzazione mondiale della sanità. Wikipedia

Autore: Micheal Moss

Titolo: DOLCI, GRASSI, SALATI

Editore: Mondadori

Anno: 2014

Codice EAN: ISBN-10: 8804636548

Codice EAN: ISBN-13: 978-8804636540

Formato: Kindle oppure stampato

Prezzo: € 20,00 (versione stampato)

Prezzo: € 8,99 (versione Kindle)

Autore: Marina Mariani, Stefania Testa

Titolo: GLI ADDITIVI ALIMENTARI

Editore: Macro edizioni

Anno: 2016

Codice EAN: 9788856614893

Formato: stampato

Prezzo: € 12,90 (versione stampato)

Autore: Filippo Ongaro

Titolo: MANGIA che ti PASSA

Editore: Piemme

Anno: 2011

Codice EAN: 9788856614893

Formato: ePub con DRM oppure stampato

Prezzo: € 16,00 (versione stampato)

Prezzo: € 6,990 (versione ePub)

Autore: Stefania Cecchetti

Titolo: i mostri nel mio frigorifero

Editore: Terre di mezzo

Anno: 2010

Codice ASIN: B006BAD4W4

Formato: Kindle oppure stampato

Prezzo: € 10,00 (versione stampato)

Prezzo: € 7,99 (versione Kindle)

Autore: Stefano Carnazzi – Stefano Apuzzo

Titolo: Quattro sberle in padella

Editore: Stampa alternativa/nuovi Equilibri

Anno: 2011

Codice EAN-13: 9788862222419

Formato: ePub con DRM oppure stampato

Prezzo: € 12,35 (versione stampato)

Prezzo: € 6,990 (versione ePub)

Autore: Pierpaolo Corradini

Titolo: QUELLO CHE LE ETICHETTE NON DICONO

Editore: EMI

Anno: 2013

Codice ISBN-10: 8830721301

Codice ISBN-13: 978-8830721302

Formato: stampato

Prezzo: € 13,20 (versione stampato)

Autore: Marie Monique Robin

Titolo: IL VELENO NEL PIATTO

Editore: Feltrinelli

Anno: 2012

Codice ISBN: 8807172399

Codice ASIN: B00D7F8JS0

Formato: Kindle oppure stampato

Prezzo: € 19,00 (versione stampato)

Prezzo: € 14,99 (versione Kindle)

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