Un superenzima per degradare la plastica tre volte più velocemente

La lenta trasformazione della plastica da materiale eterno e per questo totalmente inquinante a composto riciclabile compie un ulteriore passo in avanti grazie al lavoro di un gruppo di ricercatori dell’Università di Portsmouth, in Gran Bretagna, insieme ai colleghi dello US Department of Energy’s National Renewable Energy Laboratory (NREL), che già in passato hanno fornito elementi importanti in questa direzione. È dei giorni scorsi la pubblicazione, su PNAS, di uno studio che dimostra come una miscela di due enzimi riesca ad accelerare moltissimo la degradazione del PET nei suoi elementi fondamentali, che diventano perciò riutilizzabili.

Un paio di anni fa lo stesso gruppo aveva scoperto, studiando a fondo le popolazioni batteriche che si nutrono di plastica, in particolare in alcuni impianti di smaltimento giapponesi, un enzima che aveva chiamato PETasi (dal nome del polimero polietilen-tereftalato più il suffisso che indica sempre un enzima). Era un enzima mai visto prima, simile a un altro chiamato cutinasi, ma con alcune caratteristiche che lo rendevano particolarmente utile per la plastica. Allora si pensò che fosse il risultato di un adattamento insorto spontaneamente tra le popolazioni batteriche, e si vide che la reazione di degradazione era efficace, ma era troppo lenta per poter essere sfruttata su scala industriale. Per questo si cercarono mutazioni utili, e si riuscì ad accelerare del 20% la reazione, ma non si giunse comunque a un vero e proprio strumento sfruttabile nei cicli produttivi.

Ora però questo passo sembra compiuto, perché alla PETasi è stato aggiunto un altro enzima simile, chiamato MHETasi, la cui attività è stata definita su un altro polimero plastico, il mono(2-idrossietil) terefthalato. La miscela dei due, infatti, fa raddoppiare la velocità di reazione. Se poi i due si uniscono chimicamente, e creano così un enzima doppio, definito superenzima, la velocità cresce di tre volte, diventando finalmente accettabile per processi industriali.

Tutto ciò è stato reso possibile da studi multidisciplinari nei quali è stata usata la cristallografia a raggi X per capire il comportamento degli atomi degli enzimi in studio e soprattutto la loro conformazione nello spazio, al fine di sfruttarne al massimo le potenzialità. Se ulteriori approfondimenti confermassero l’efficacia del cocktail, l’era della plastica monouso (ed eterna) potrebbe essere più vicina a un significativo punto di svolta.

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